Visionoir

RECENSIONE A CURA DI Claudio Causio

Non è facile parlare di un disco come quello cui ci approcciamo oggi. The Second Coming dei Visionoir (anche se dovremmo dire di Visionoir, essendo questo un progetto solistico di Alessandro Sicur) è un album complesso, che si muove sul genere avant-garde/prog metal, strizzando l’occhio alle sonorità più aggressive del death sinfonico. Procedendo però con ordine, Visionoir è arrivato alla sua terza pubblicazione passando per un EP d’esordio, rilasciato poco dopo la fondazione del progetto avvenuta nel 1998, e un primo vero album, The Waving Flame of Oblivion, uscito solo nel 2017, dopo una lunga pausa. Visionoir torna poi immediatamente in studio e, fra pandemia e lockdown, riesce a scrivere, registrare e produrre The Second Coming, quasi in solitudine. Già, perché per questo nuovo lavoro si è assicurato la partecipazione di due vocalist d’eccezione, Fabio Vogrig e Alessandro Seravalle, oltre che della sassofonista tenore Clarissa Durizzotto. Perciò, ad esclusione delle voci e del sassofono, presente in due tracce, Alessandro Sicur si è occupato dell’intera strumentazione e della produzione, destreggiandosi fra chitarra, basso, batteria e tastiera, restituendo un album dall’alto valore, almeno per quanto riguarda la produzione e il suono.
Entrando nel merito del disco, per offrire un giudizio più completo e che riguardi anche l’aspetto compositivo, notiamo sin da subito la durata sia dell’intero lavoro che di ciascun brano: quasi un’ora di musica per dieci brani, con una media di cinque minuti a pezzo circa che, a primo acchito, destabilizzano l’ascoltatore consapevole del genere in cui questo album si inserisce. Come si è lasciato intuire precedentemente, The Second Coming non è un facile ascolto, non è musica da sottofondo, è un lavoro impegnato e impegnativo, che gioca con il metal, il jazz, stupisce l’ascoltatore, porta ad estreme conseguenze le sperimentazioni abbozzate da altri musicisti o da Visionoir stesso. La componente estrema poi, concentrata su distorsioni, voce in scream, tempi rallentati che spesso sembrano citare il doom, non facilita certo il lavoro di chi ascolta. La melodia si ritrova nella paradossale situazione in cui esiste e non esiste: non si può dire che essa non sia elaborata, perché lo è anche fin troppo, ma, pur servendosi alla perfezione di riff accattivanti con le chitarre e le tastiere, non si cura quasi mai di farlo anche con la voce. Il risultato e una musica difficile per chi non ne è abituato, ma, facendo riferimento alla strumentazione, il fascino è sempre presente, le atmosfere sono quelle giuste, i riff giocano con la semplicità e l’artificiosità, restituendo un comparto ritmico solido e potente ed uno melodico che può ampiamente permettersi di lasciarsi andare qua e là. Non c’è però da stupirsi: non dimentichiamo che è Sicur il centro della situazione, e non c’è lui dietro al microfono, di conseguenza fa più che bene ad esternare e mettere in mostra le sue doti di musicista completo. Visionoir è infatti in grado di proporsi da chitarrista, da bassista e da tastierista: ogni strumento che ha inserito nel suo progetto ha le potenzialità per essere un solista, e attualizza queste stesse potenzialità con ordine e intelligenza. Ecco allora qualche assolo di chitarra o di basso (per lo più distorto), o anche momenti in cui è la tastiera a prendere il comando (a dire il vero capita nella maggior parte dei casi), rigorosamente in synth, sfruttando suoni futuristici, quasi distopici (come si potrebbe proporre un genere simile senza queste sonorità?).
È in un simile contesto che si sviluppano le dieci tracce dell’album, facilmente divisibile in due sezioni. La prima parte è composta per lo più da brani che presentano una sezione vocale, sia essa cantata o parlata. Ecco allora che il disco si apre con Lost in a Maze e The Snooping Shadow, in cui la suddetta voce si esibisce in una via di mezzo fra le due modalità sopra indicate. Segue, poi, The Vulture Eye, che mette in mostra qua e là anche un cantato pulito, mentre la quarta traccia, Breathless, che, seppur condividendo qualcosa con la precedente, appare più rivolta verso le ascendenze estreme. Come si è cercato di lasciar intendere per l’intero corso di questo scritto, però, è sempre difficile, in The Second Coming, ridurre anche solo un singolo brano ad un genere specifico o indicarne alcune caratteristiche come uniche. Tutti i dieci pezzi hanno qualcosa in comune, ma nessuno di essi può essere classificato: i tempi spesso rallentano o velocizzano, le canzoni si spezzano con l’ausilio di intermezzi tranquilli o passaggi più potenti, e volentieri terminano in un luogo che è diametralmente opposto a quello in cui nascono. Ciò che differenzia The Vulture Eye e Breathless è allora una sensazione, quel che ciascuna trasmette e che lascia nella mente e nel cuore di chi ascolta. La quarta traccia, in particolare, appare più cattiva e potente della precedente, che a sua volta sembra a tratti più trascinante.
La seconda parte dell’album si compone invece di brani per lo più strumentali, in cui la voce si ferma al narrato, ad eccezione di No More, unico pezzo effettivamente cantato di quest’ultima metà. È l’occasione per Sicur di dare libero sfogo alla sua creatività e alle sue doti tecniche, offrendo delle canzoni ben strutturate in cui la sperimentazione dei suoni regna sovrana. A lanciare questa sezione del disco è la quinta traccia, Horror Vacui, che a parere di chi scrive, insieme con la title track che chiude The Second Coming, risulta essere la migliore dell’intero lavoro. Entrambe rallentano i tempi, le atmosfere che creano sono più tranquille e rilassanti ed è più facile percepire il bagaglio tecnico che Sicur porta con sé nella loro stesura. Le melodie sono ben definite, grazie all’aiuto del sax di Durizzotto che proprio in queste due tracce fa la sua comparsa. Neanche in quelle che potremmo chiamare due ballad Visionoir abbandona i suoni futuristici, che quasi strizzano l’occhio ai Depeche Mode, quanto meno nella traccia di chiusura, ma qui si sposano bene non solo con sonorità più classiche, messe in campo dal sax e dal pianoforte, ma anche con altre più esotiche, e se in Horror Vacui predomina un’atmosfera cupa, in The Second Coming le sensazioni sono quelle del mistero e di un segreto che neanche il narrato sottovoce vuole rivelare. Seppure non sembri un pezzo vero e proprio al confronto con gli altri nove, The Second Coming è particolarmente apprezzabile proprio per le atmosfere che restituisce.
In conclusione, quel che possiamo dire riguardo l’ultima pubblicazione di Visionoir è che rispecchia in pieno il gioco di parole del suo autore: una visione a tinte nere, cupe, misteriose, che non disdegnano però le ascendenze metal, messe anzi a totale disposizione delle atmosfere che Sicur vuole e riesce a mettere in piedi. Il risultato è un disco ben riuscito, che neanche minimamente potrebbe sembrare essere stato composto, suonato e prodotto da una singola persona. Se poi si aggiungono figure musicali come Vogrig, Seravalle e Durizzotto, il risultato non può che essere ottimo. Voto 7.5

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