RECENSIONE A CURA DI ENZO “FALC” PRENOTTO

Gli australiani Temtris raggiungono un traguardo notevole ossia ventuno anni di carriera ed una discreta schiera di album pubblicati. Fondati ad inizio millennio dal batterista Wayne Campbell (proveniente dai Mortal Sin e, ad oggi, non più nei Temtris), dal chitarrista Anthony Fox e dalla cantante Genevieve Rodda (quest’ultimi sono gli unici membri fissi) Con il susseguirsi degli anni e dei dischi pubblicati i cambiamenti in lineup sono stati parecchi ma in qualche modo l’attitudine non ne ha mai risentito pienamente. Dopo tre anni dal precedente Rapture esce il nuovo Ritual Warfare che conferma nuovamente l’approccio metallico del gruppo che si rivela essere molto debitore della corrente power metal europea degli anni ‘80 alla Accept quindi molto aggressiva che richiama anche delle influenze heavy/thrash metal. La band non si lascia attendere troppo e parte decisa con l’opener “Race to the End”, cavalcata metallica condita da melodie efficaci e qualche idea presa dagli Iron Maiden. Il ritornello è diretto ed efficace soprattutto anche alla potente voce della bella cantante Genevieve che marchia a fuoco ogni traccia con una tonalità autorevole come nella più che buona “Seven Sins Of Men” con delle belle intuizioni della chitarra solista. Ritrovarsi fra le mani dischi con queste sonorità al giorno d’oggi fa un po’ strano eppure per molti un certo modo di fare musica e soprattutto vivere un certo stile di vita è ancora forte. Lo dimostrano brani “ignoranti” come il metallone di “One For All” o le mitragliate grintose di “Erased” ma anche il mood “true metal” di “Always United” con le sue sfumature epicheggianti modello Manowar. E’ un disco totalmente debitore del metal old school ben suonato e con energia da vendere che se da un lato contribuisce a saturare il mercato, dall’altra potrebbe avvicinare qualche giovane che vuole avvicinarsi a questo mondo. Nel complesso la band ci sa fare tecnicamente e anche sulla composizione riesce nel difficile compito di non copiare spudoratamente ma riesce a ritagliarsi un piccolo spazio creativo offrendo buone idee come la pesante “Forever” colma di chitarre dure e massicce oppure la variegata “Ritual Forever” con al suo interno moltissimi riffs di chitarra belli dinamici che invogliano nuovamente a riascoltare il brano. L’ascolto si mantiene costante e non ci sono mai particolari cali di interesse se non in episodi piatti tipo “Tempus Aeternum” ma nel complesso tutto funziona bene sia nelle parti strumentali quadrate ed “easy” sia nel cantato cristallino ed energetico che non mancherà di gasare metalheads vecchi e nuovi facendogli innalzare le corna al cielo. Album onesto, caldo e fatto con cuore e passione. In fondo il metal non ha bisogno di chissà quali rivoluzioni per emozionare a patto che si accetti la scarsa originalità. VOTO 7