Tejas astras

RECENSIONE A CURA DI ALFREDO LAVORATO

Nato nel 2018, il duo torinese “Tejas Astras” (“Armi ad energia”, in lingua sanscrita), rispettivamente Denis Di Nicolò [Voce, cori, tastiere, armonica, programmazione basso, batteria e drum machine in VST, testi] e Francesco Paternicò [Chitarra ritmica e solista, programmazione basso, batteria, drum machine in VST] propone un sound che mescola svariate influenze musicali (Hard’n Heavy, musica elettronica, progressive rock, psichedelia, elettro synth anni ’80) al fine di sondare il mistero dell’essenza umana attraverso tematiche di natura fantascientifica e mitologica: nello specifico, letteratura fantascientifica, ufologia, archeologia misteriosa e paleoastronautica, il tutto cantato in lingua italiana. L’album è volutamente suddiviso in due parti, con un cosiddetto “Lato A”, melodico e potente, e un “Lato B” più strutturato e meno immediato. “Abbiamo cercato di trasportare in musica alcuni concetti di natura fantascientifica e archeologica- nel lavoro si possono trovare rimandi in chiave intimista all’astronomia (“Osservatorio”), alla sumerologia con conseguenti termini linguistici (“Sumerian company”, “Ritorno su Ki.En.Gi”), ai rapimenti alieni (“La tua ultima abduzione”), e a vecchie leggende ufologiche (l’Utsuro-Bune giapponese di “Naufragio Sconosciuto”), senza inoltre dimenticare la critica sociale (“Un altro lato della notte”), impegnandoci, per quanto possibile, a personalizzare il nostro stile.” L’album omonimo della band, sin dalle prime note, fa trasparire tutto l’amore del duo per le sonorità dark wave anni 80 tanto care ai primi litfiba di cui si sente, per tutta la durata del cd, l’influenza sottile che però non risulta invasiva ma rende comunque piacevole l’ascolto che, non di meno la natura dark prog dei pezzi, crea una tavolozza di suoni dalle tinte oscure e bluastre…. I pezzi sono omogenei ed i testi meritano una lettura dettagliata e approfondita per quanto belli e curati, le parti di chitarra elettrica, a volte, richiamano passaggi solisti sulla falsa riga di quelle che furono le frasi celebri di Iron maiden e company, mai plagiando s’intende, ma che rendono il sound ancora più completo. La voce un po’ acerba ancora ma il cantato stile teatro degli orrori gli dà quell’interpretazione particolare che riesce a rendere personale il prodotto che, nell’ascolto generico, rende omaggio alla nuova scena prog italica, primi su tutti il glorioso “Segno del comando” che ogni tanto, come ambientazioni scenica, sembrano aleggiare come maestri e mentori per un progetto che, con le dovute migliorie, avrà tanta strada davanti. Un po’ di attenzione in più per le parti di batteria che in alcuni punti mancano di dinamismo e continuità ritmica ma, per il resto, nulla da dire, un buon lavoro, anzi, di più. VOTO 8

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