RECENSIONE A CURA DI CLAUDIO “KLAUS” CAUSIO

Nato durante il lockdown del 2020, il progetto ‘Swarm Chain’ vede la sua origine nel desiderio dei cinque ragazzi italiani di divertirsi sperimentando sonorità che mai nessuno di loro ha affrontato precedentemente, giocando con l’incontro dell’heavy classico e il doom, dal cui matrimonio sono nate ben sei canzoni (addirittura prima della formazione ufficiale del gruppo!), ritenute poi dalla band adatte alla pubblicazione. Ecco allora che all’inizio del 2022, quasi due anni dopo la nascita del progetto, questi pezzi vedono la luce del sole, andando così a comporre il disco di cui oggi ci occuperemo, Looming Darkness.
Come si è già accennato, l’album, che appare più come un EP leggermente più esteso (quaranta minuti, circa), si mostra come un tentativo, da parte della compagine italiana, di esplorare le vie che si aprono all’incontro di un genere classico e accattivante, come l’heavy metal, con una sua frangia più estrema e notoriamente meno orecchiabile, il doom. Il risultato è un prodotto nel complesso piacevole e coinvolgente, condito però dai tempi distesi, le atmosfere cupe e i cori in growl e scream, tutte caratteristiche tipiche della seconda delle due metà che compongono l’amalgama degli Swarm Chain. Il suono appare pulito, sebbene la produzione rientri nell’ordine della normalità (immaginiamo che le condizioni restrittive di due anni fa abbiano influito, per cui un prodotto simile forse potrebbe anche essere più di quanto i ragazzi si aspettassero): i riff di chitarra che spesso si assumono l’onere di guidare la melodia dei brani, soprattutto nelle strofe, emergono in piena chiarezza, senza però offuscare l’operato del basso, che si ritaglia anche un’importante sezione in Witch of the Wood, o quello della batteria, che non si abbandona mai a ritmiche frenetiche ma è sempre ordinata anche nei momenti in cui segue più le ispirazioni estreme che quelle moderate. A questo schema si aggiungono le due voci, una pulita e l’altra in growl che ben trascinano l’insieme fin dentro le profondità delle atmosfere cupe che cercano di restituire all’ascoltatore. L’unico difetto, forse, è tuttavia proprio nelle voci, in particolare in quella di Paolo Veluti (in clean), che trova difficoltà ad emergere, restando troppo dietro, dal punto di vista del suono, rispetto al resto, soffrendo forse anche un lavoro più grezzo nella produzione, e mentre la sezione strumentale risulta, come detto, nitida e limpida, la voce di Veluti appare più come la registrazione di una demo che di un disco vero e proprio. In fatto di composizione ed esecuzione, invece, non ha nulla da invidiare ai suoi compagni, condividendo con loro un giudizio del tutto positivo in questi due ambiti.
Il disco si apre senza preamboli con Hunters, che riflette in pieno quanto detto finora, con le sue melodie stranianti, le doppie voci, i tempi particolarmente distesi e le atmosfere cupe, oltre che le caratteristiche più tipiche dell’heavy, che qua e là si ritagliano uno spazio da protagonista: ecco allora, ad esempio, che nelle strofe le ritmiche risultano quasi incalzanti, ma soprattutto particolarmente coinvolgenti, mentre i ritornelli tornano a scandire tempi più rallentati, vicini a quelli dell’introduzione, di cui è spesso richiamato il riff principale. La successiva Worms, invece, conferma quanto dettato da Hunters, mentre la terza traccia, Witch of the Wood, aggiunge un elemento che ricorrerà anche in seguito, una voce narrante femminile, che farà coppia fissa, sia ora che altrove, con quel basso protagonista di cui sopra. Anche qui, le ritmiche sono ben scandite, seppur impostate su tempi mai particolarmente veloci, risultando quindi sempre ben comprensibili e coinvolgenti.
Segue la title track, Looming Darkness, forse la migliore del disco. Essa si compone di diverse sezioni alternate, oltre che di una parte parlata, anche qui, da una voce femminile accompagnata dal basso. È certamente il brano più lungo del disco, arrivando a toccare quasi i nove minuti, e ben raccoglie tutto ciò che gli Swarm Chain hanno espresso nelle tracce precedenti: una prima parte pressoché dominata dalla voce distorta e dai tempi distesi rappresenta in pieno la metà doom della band, lasciando non troppo presto spazio ad una seconda sezione particolarmente orecchiabile e immersiva, in cui la voce in clean la fa da padrona, imponendosi su una sezione strumentale più rapida e incalzante della prima, cui però si sostituisce la già citata parte narrata. Un quarto blocco solistico ed un quinto conclusivo, che richiama il secondo, pongono poi la parola fine ad un brano davvero ben composto, non eccessivamente complesso, in quanto di facile e immediata comprensione, ma neanche semplicistico. A chiudere il disco, infine, sono Codex Gigas e Almost Nothing, che poco o nulla aggiungono a quanto già ascoltato anche solo nella title track.
Traiamo ora le nostre conclusioni. Come già abbiamo detto, l’album è ben scritto ed eseguito, traspare la competenza di ciascuno dei cinque ragazzi della band dal fatto che nessuno di loro, secondo le loro stesse dichiarazioni, ha mai affrontato questo genere e, nonostante ciò, sono riusciti a proporre un lavoro di alto livello, considerando anche il momento storico difficile in cui esso è stato scritto e registrato. Insomma, se gli Swarm Chain sono una band nata solo per divertimento e senza impegno, ci auguriamo che i cinque italiani continuino a divertirsi allo stesso modo di come hanno fatto quando si sono occupati di Looming Darkness: chissà che non riescano a comporre qualcosa che possa essere addirittura migliore! VOTO 7.5