A cura di Claudio “Klaus” Causio
CAPITOLO I: LA FINE DELLA BEAT GENERATION E L’ASCESA DELLA REGINA.
Il Sessantotto era finito, gli anni ’60 erano finiti, quei giovani che avevano lottato per scrivere il proprio futuro stavano portando la loro nuova cultura su sentieri ancora non battuti. Ci fu chi fece proprio l’aspetto pacifista e politico, usando la musica come strumento di ribellione al momento storico che si viveva, per lanciare messaggi di pace, esigendo la fine della Guerra del Vietnam. È il caso dei movimenti hyppie, che avevano visto il loro apice a Woodstock nel 1969, ma che si protrassero anche nel decennio successivo.


Ci fu chi guardò al futuro anche nella propria musica, cercando di sperimentare il più possibile, per uscire dal cerchio stringente disegnato dai loro predecessori, perfino dai Beatles stessi. C’è da dire, però, che ad influenzare la nascita del prog rock fu anche l’estremo uso di sostanze stupefacenti, diffuse già a partire dalla stessa beat generation in cui le grandi rivoluzioni sessantottine avevano mosso i primi passi. Infine, ci fu chi tentò di esplorare gli angoli più reconditi dell’essere umano e della musica:
è il caso dei primi gruppi accreditati come metal ma che, al giorno d’oggi, effettivamente faticheremmo ad etichettare come tali (stando prettamente al loro sound), come Led Zeppelin o Black Sabbath. È chiaro che non bisogna prendere questi movimenti, come anche altri, come fossero compartimenti stagni. Gli artisti si influenzavano vicendevolmente: ecco che i Led Zeppelin allora scrivono brani come Rock ‘n’ Roll e Stairway to Heaven, così differenti tra di loro. A mio parere, questo contatto continuo fra le varie branche del rock, nate dallo scoppio del gigante di Liverpool, raggiunse l’apice nei Queen, contemporanei agli altri, certo, ma che, forse, arrivarono più in alto di tutti coloro che si muovevano inizialmente nello stesso spettro musicale. I primi due lavori del quartetto inglese dimostrano la chiara influenza che gruppi come i Led Zeppelin ebbero su di loro ma, leggendo la loro storia, a posteriori risulta chiaro che la storia non poteva che essere quella che è stata. Sfacciati, sfrontati, esibizionisti, sperimentali: furono forse la più grande ispirazione della storia della musica moderna. Freddie Mercury era appassionato di musica operistica (Un Ballo in Maschera di Verdi era una delle sue opere preferite), di lirica e del balletto, ma era anche il principale compositore e il frontman di una band che muoveva i suoi primi passi partendo dall’hard rock, dal prog e da quello che potrebbe essere definito come proto-metal. Una figura del genere non può che essere interessante, non può che dar vita a qualcosa di irripetibile e così eterogeneo da risultare una delle più grandi epopee della storia della musica in generale.

Il primo lavoro dei Queen, datato 1973, non fu un granché a livello di vendite come anche di composizione (se si pensa a quel che avrebbero fatto solo due anni dopo), ma il secondo, Queen II (1974), è considerato da molti come una piccola gemma nella vasta discografia dei quattro. È sede del primo vero singolo della band, Seven Seas of Rhye, ma anche di una delle prime espressioni di “fantasy in musica”, Ogre Battle, ed infine di un masterpiece incompreso quale The March of the Black Queen, della durata di sei minuti e composta da undici parti. Il pezzo può essere considerato il precursore del vero capolavoro dei Queen, Bohemian Rhapsody, rilasciata l’anno successivo, e della sua nemesi degli anni ’90, Innuendo.
In questo album i suoni cupi di quell’hard rock dei primi anni ’70 fanno da sfondo alla voce potente, pulita, giovane e sfrontata di Mercury, contornata dal marchio di fabbrica dei quattro inglesi, la sezione corale, sempre ben lavorata. Insomma, dall’ascolto di questo album è evidente che i Queen non potevano che diventare quel che sono diventati, soprattutto se si pensa all’innovazione che portarono anche sul palco: è inutile dire quel che è stato fin troppo ribadito, cioè che Freddie Mercury fosse tutt’uno con la scena e che si nutrisse delle attenzioni del suo pubblico.
I Queen non sono però ricordati per il loro secondo album, né per il terzo, Sheer Heart Attack, che pure ha le sue peculiarità e la sua importanza (si veda brani come Killer Queen, Flick of the Wrist o Now I’m Here) soprattutto nell’evoluzione glam e pop del gruppo, come anche per quel che realizzarono successivamente, che è ciò che veramente li portò sul tetto del mondo e che, forse, li ha fatti rimanere almeno fino ad oggi. Stiamo parlando di A Night at The Opera, solo un bellissimo album se non si fosse chiuso con quella che per molti è la più grande canzone mai scritta, Bohemian Rhapsody. Ma questo sarà tema della prossima puntata.
continua…