Sinira

RECENSIONE A CURA DI ENZO “FALC” PRENOTTO

Il black metal è spesso o sempre stato un fenomeno volto al DIY. Non si contano più le one-man band ed i texani Sinira non fanno eccezione a ciò. Questo progetto capitanato dal giovane Knell (traducibile con suono funereo della campana) nasce nel 2016 ed un paio di anni dopo pubblica un primo DEMO a cui segue sempre dopo due anni il debutto discografico intitolato The Everlorn. Dato che uscì prevalentemente in digitale poco dopo uscì la versione fisica che comprende un lotto corposo di canzoni (spesso decisamente lunghe) che rispecchiano ovviamente il tipico black metal riletto però in un’ottica svedese con non poche interessanti variazioni.
Knell si prodiga nell’uso di tutti gli strumenti e si affida ad una batteria elettronica che purtroppo in più di un’occasione suona troppo plastificata e robotica ma fortunatamente non rovina troppo l’ascolto. Quello che colpisce sono le interessanti idee musicali che, pur se ricalcano i classici stilemi, sorprendono durante l’ascolto dell’album. Grosso risalto va dato sicuramente alle velocissime schegge di consueta violenza black metal come la tempestosa “Our Final Nightfall” ma è altrettanto vero che c’è un’attenzione maniacale per il versante melodico che viene distribuito e dosato in maniera molto precisa. I giri melodici della chitarra della titletrack “The Everlorn” si incastrano al meglio con gli intensi assolo di un emozionalità rara mentre l’opener track “Where Starlight Does Not Shine” si snoda su toni quasi folkeggianti dal timbro molto pagan metal grazie anche ad inserti acustici fiabeschi. L’aspetto più interessante però viene fuori da un groove pazzesco che è dovuto probabilmente dal passato thrash/death del musicista americano e difatti si sente molto nella micidiale “Tear Ladened Skies” grazie ad un riff distruttivo che crea un muro di suono modello schiaccia sassi ma anche nel terremoto a nome “Gardens of Pestilence” contiene elementi molto black/thrash metal che rendono il brano più dinamico grazie anche a melodie molto battagliere. Quel modo di spezzare i brani con quelle schitarrate aspre fa davvero la differenza ed aiutano a smorzare la ripetitività come nel caso della mastodontica “Dawnless Twilight”, quasi dodici minuti pieni di melodia, mitragliate soniche colme di groove e rallentamenti pesanti come macigni. Il progetto Sinira dimostra come le nuove generazioni possano essere competitive. I difetti ci sono come i pezzi non sempre coinvolgenti dall’inizio alla fine ed anche la voce troppo debitrice di Abbath (ex Immortal) non aiuta molto. Eppure il disco invoglia ad essere riascoltato e non mancherà di essere apprezzato nuovamente.
Un gran bel lavoro, non perfetto ma interessante e coinvolgente per tutti anche per chi non mastica metal e fiamma nera tutto il giorno. VOTO 7.0

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