Secret Alliance

RECENSIONE A CURA DI Claudio “Klaus” Causio

Dopo il loro disco d’esordio, “Solar Warden”, i Secret Alliance, capitanati sempre dal chitarrista Gianluca Galli, tornano in studio e, puntuali, rilasciano “Revelation” proprio nel giugno del 2021, a distanza di circa un anno dalla precedente pubblicazione. La formazione riunita da Galli ha un che di spettacolare, avendo infatti egli stretto la sua “alleanza” con nomi del calibro di Tony Franklin (basso), l’ex Angra e Shaman Ricardo Confessori (batteria), cui si sono uniti, sia nel primo che nel secondo disco, diversi ospiti come Frank Gambale o Alex Masi. A completare la formazione è la voce, alta e potente, di Andrea Ranfagni. “Revelation” si compone di undici tracce nel più classico degli hard rock, semplice ed immediato, incalzante e potente. Inizialmente si propone come un tributo al rock del passato, in cui sono pause e attacchi in levare a scandire il ritmo e l’essenza stessa dei pezzi, ma è proprio quando sembra che i Secret Alliance non abbiano più nulla da dire che tornano alla carica con una seconda metà decisamente di alto livello, innovativa rispetto alla prima, cangiante, inaspettata. Elementi extramusicali, un pianoforte che si ritaglia un ruolo di protagonista qua e là, synth rubati agli anni ’80 e proiettati in un futuro fantascientifico, cori ben lavorati e prodotti: questi sono gli elementi che fanno da contorno e, a tratti, da personaggi chiave non solo alla seconda metà, ma all’intero disco e che vengono sfruttati magistralmente proprio nelle canzoni successive al giro di boa per rendere quest’ultime mai stantie o ripetitive, sebbene lo stile si mantenga pressoché immutato. Oltre a ciò, è possibile godersi anche l’interferenza di una sezione di fiati, in “Requiem for Technology”, che arricchisce il brano e lo strappa via dalla monotonia. Ma abbiamo preferito tenere alla fine quella che, secondo noi, è la vera perla: il colpo di genio, a parere di chi scrive, sta nell’impercettibile sapiente uso che i Nostri fanno di accordi e note dissonanti: ad un ascolto disattento è infatti percepibile qua e là qualcosa che stride, ma che non risulta mai fastidioso, piuttosto, oserei dire, funzionale, piacevole, sorprendente. Tutto ciò non fa che confermare le attese che i diversi nomi altisonanti hanno creato sia circa la capacità di scrittura, la quale, anche se il progetto sembra essere a guida Galli, avrà sicuramente risentito dell’influenza dei maestri di cui il chitarrista si è circondato, sia circa le capacità tecniche e l’amalgama del gruppo: non a caso, paradossalmente, vero protagonista del disco sembra essere il basso di Tony Franklin che a tutti gli effetti trascina la ritmica e il coinvolgimento. Il disco si apre in maniera particolare: una prima sezione introduttiva di “Welcome on Planet Earth” ha lasciato chi scrive interdetto, al punto che ci siamo trovati a dover confermare di stare ascoltando effettivamente il brano. Ben presto, però, il basso di cui sopra, immediatamente dopo una sezione parlata, immerge l’ascoltatore in un brano particolarmente trainante, caratterizzato da momenti strumentali conditi da altre parti parlate e da un ritornello coinvolgente e potente. Da qui, “Revelation” scorre senza particolari picchi che permettano di gridare al capolavoro, ma neanche tendendo all’anonimato e alla mediocrità. Come si diceva precedentemente, sebbene non ci siano veri e propri brani epocali, qua e là compaiono elementi quasi azzardati ma ben studiati, alcuni addirittura impercettibili ma funzionali, che permettono di metabolizzare e memorizzare ciascuna canzone. Così, nulla di trascendentale ci obbliga a dire che “Fire in the Sky” o “No Stars”, i brani successivi, siano anche solo minimamente distanti dal pezzo di apertura, tuttavia la prima si arricchisce di quei synth e cori di cui sopra, mentre la seconda fa uso di quegli accordi quasi dissonanti di cui anche abbiamo trattato, ed entrambe, come del resto tutto “Revelation”, girano intorno a riff particolarmente orecchiabili e catchy, seppur potenti e spinti. “She’s Green”, quinta traccia, spezza i ritmi serrati dell’album, anche se si mantiene allo stesso modo sui medesimi binari delle precedenti, quasi mascherandosi da ballad nelle strofe. L’unica vera ballad, di fatto, è la canzone di chiusura, “First Day of Life”. Fra loro due, però, ci si imbatte in altri cinque brani, alcuni davvero interessati come la già citata “Requiem for Technology” o “The Arise”, la quale convoglia in sé alcune delle particolarità di cui sopra, come i cori, che introducono il brano, i synth futuristici, che invece pervadono l’intera traccia, e le note dissonati, addirittura eseguite con il pianoforte e che, con un gioco di botta e risposta con la chitarra, preludono ad un assolo del suddetto. Dopo “Seven Sisters”, infine, è la volta della già citata “First Day of Life” che chiude il lavoro. Quel che resta dopo aver ascoltato “Revelation” è un disco ben scritto, prodotto, suonato e lavorato, che non spicca per eccessiva originalità o per restituire brani dall’alto valore emblematico, ma neanche per anonimità o mediocrità. È certamente godibile, piacevole e interessante, seppur non un capolavoro. I quattro ragazzi dei Secret Alliance hanno pubblicato un disco ben fatto, che si inserisce su un filone che ha fatto scuola e le cui radici risalgono alla Notte dei Tempi, riuscendo però ad apporre la propria firma praticamente ovunque. Non è certo una boccata d’aria fresca, ma un buon compromesso fra passato, presente e futuro, rock ed un pizzico di metal, orecchiabilità e potenza, tecnica individuale e spirito di gruppo. Siamo certi che il divertimento che mettono nel suonare la loro musica, il quale emerge chiaramente da ciò che propongono, si trasmetterà agli ascoltatori, da questo lavoro come dai prossimi. Voto 7.5

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