RECENSIONE A CURA DI ALESSANDRO BETTONI

Avendo sempre privilegiato il lato emotivo della musica, in confronto ad i contenuti tecnici della stessa, non sono mai andato a ricercare le influenze delle band, come sono poco interessato alla loro preparazione tecnica, per quanto mi riguarda, la musica vive di emozioni forti ed infatti a volte mi vien da pensare di non essere adatto a fare tutto questo, quarant’anni di passione e di ascolti musicali trasversali, mi dovrebbero trovare sufficientemente pronto, ed invece mi ritrovo, quasi sempre a mettere in discussione il mio metro di giudizio.
Il progetto PROUDHON, che ci presenta questo ”The Damage Bodies“ viene dalla Francia ed è composto da Antoine alla chitarra ed al basso mentre Thomas si occupa della batteria e del canto.
La band prende il nome da Pierre-Joseph Proudhon, originario del paese e precursore dell‘ideale anarchico (oltre a molti altri scritti da cui il duo si dissocia in modo netto) e già dall’artwork di copertina si ha la sensazione di non trovarsi di fronte a qualcosa di semplice dove un dipinto di Adolph Menzel, raffigurante un laminatoio di ferro in piena rivoluzione industriale, (assomigliante più all’inferno che non ad una fabbrica) è capeggiato dal logo del gruppo dove la modernità stà schiacciando l’idea di uguaglianza e rispetto.
A livello musicale anche se il il punk appare come idea predominante a livello testuale, il duo, preferisce sonorità più radicali, unendo alla rabbia del thrash una buona dose di tematiche death metal, la schizofrenia del grindcore ed un’attitudine prettamente HARDCORE punk nel proporre denunce sociali, in modo veloce, brutale e diretto.
Le undici tracce (anzi dieci più un’intro) di “The Damaged Bodies “ durano meno di un quarto d’ora, ma hanno abbastanza tempo per riversare una colata di magma maligno sull’ascoltatore, mantenendo alta la tensione anche nei momenti (pochi) più riflessivi, fatti di mid tempos pesanti come macigni, le voci sono brutali e gutturali e la produzione è cruda e sporca, ma molto adatta e funzionale per la proposta sonora della band.
Le esplosioni “assassine”, unite alle velocità pazzesche di ”Trauma“, “Canuts Revolt“ e “1936“ e brani inframezzati da rallentamenti malvagi dai tempi quasi Doom di “Ravachol”, “Have we Failed“ e “The Philosophy Of Misery“, non danno il tempo di respirare, tante sono le tempeste sonore ed emotive che ci assalgono.
In “Rothe Fahne“ e “Chaints de Cerises“ e “Puits Sainte-Marie“ si sentono in modo notevole influenze dei Celtic Frost più irruenti, fatte di accelerazioni nevrotiche e rallentamenti assassini, mentre nella conclusiva “Les Tempe Noveaux“ riff Thrash si fondono con una voce spettrale, inframezzata da una pausa in stile horror, riparte decisa e malevola dando il colpo di grazia all’ascoltatore mentre l’urlo finale decanta tutta la disperazione e la rabbia verso una società ingiusta.
I Proudhon riescono sviluppare un universo, ultra veemente e pesante, ma che tratta temi concreti ed ancora attuali con una proposta tanto brutale quanto interessante ed efficace. Li aspetto ad una prova più corposa, per adesso “CHAPEAU”. VOTO 7