O.Y.D.

RECENSIONE A CURA DI MATTEO “KID M” NAZZARRI

Ah, la Grecia… Mirabile ed antica terra di poeti, filosofi, condottieri, sirtaki e rebetiko. Incastonata in posizione strategica a cavallo fra il Mar Mediterraneo ed il Mar Egeo, in tempi recenti ha subito il fascino ammaliante e seducente di generi musicali provenienti dagli U.S.A. quali ad esempio il NU METAL, l’ALTERNATIVE METAL ed il GRUNGE. Tra i fautori di questa “american revolution” in terra ellenica figurano da qualche anno gli O.Y.D. (acronimo di One Year Delay), giunti nell’Anno Domini 2019 alla genesi della loro seconda opera discografica da studio intitolata INDIGO. Provenienti dalla cittadina di Kalamata e formatisi nel lontano 2012, sulla base delle loro influenze musicali decidono nel 2014 di affidare la produzione del loro folgorante album d’esordio ad un vero Maestro del genere metal, Toby Wright (collaboratore fra l’altro di Metallica, Alice In Chains e Korn tanto per fare qualche nome). La loro opera prima del 2015, DEEP BREATH, è un vero e proprio pugno nello stomaco : alterna momenti furiosi alla S.O.A.D. come “Gunpoint” a ballate intense che riconducono alla melodia grunge dei Pearl Jam come ad esempio in “Water Under The Bridge”. In sostanza un disco pregno di continua ricerca stilistica. Chapeau! Nel 2018 i nostri scelgono stavolta di affidare le redini della registrazione della loro seconda fatica discografica a Fredrik Nordstrom ritirandosi con religiosa dedizione dentro ai FREDMAN STUDIOS di Goteborg, Svezia per l’esattezza. Il risultato che nei mesi a seguire ne scaturisce dal duro lavoro in sala è a dir poco sorprendente. Perché, dear friends, diciamocelo in maniera schietta e sincera : INDIGO IS OVER, INDIGO è un album che mette ancor più a fuoco gli obiettivi che i cinque figli del Peloponneso intendono raggiungere. L’apertura delle danze spetta alla claustrofobica “Escape From Monkey Island”, 2 minuti e 37 secondi di continuo stato ansiogeno caratterizzati dalla voce schizzata di Orestis Alimonos e che fanno da perfetto preludio ad una vera e propria mitragliata di brani che sono uno più intenso e feroce dell’altro. Una sequenza che da sola, presa così com’è, vale l’intero prezzo del disco. “Indigo Flow”, “Nanohopes”, “One Of Those Days” e ”Going Ballistic” oltre ad essere dei brani dal chiaro riferimento agli Slipknot, ai Korn, ai Deftones e in alcuni frangenti ai Limp Bizkit, prima ancora di essere tutto questo mettono in chiaro una cosa fondamentale : gli O.Y.D. sanno suonare metal pesante, gli O.Y.D. si erano solo riscaldati nel lavoro precedente, gli O.Y.D. hanno piombo serio da sparare e talento a profusione da vendere. Non si può restare indifferenti ai riff magistrali chitarristici di Nick Koumoundouros, al basso seducente e incandescente manovrato da George Manesiotis, all’incedere talvolta marziale talvolta allucinogeno di Haris Kolozis. Il tutto accompagnato durante questa epica discesa negli inferi psichici di INDIGO dalle tastiere di Stavros Tsotras, con a guida di questo magico “greek submarine” la voce inconfondibile di Orestis Alimonos. Successivi brani come per esempio “Jungle High” e “Sisyphus” ribadiscono in maniera ancor più marcata e netta le intenzioni serie del gruppo di non voler fungere da semplici comparse nel panorama musicale europeo, bensì di volere avere una voce autorevole e autoritaria in merito. In “Landslide” addirittura si sentono echi lontani (ma neanche troppo a dire il vero) di Green Day Style. Il tutto termina con l’ipnotica e candida “The Y Axis”. In conclusione INDIGO è un album eccezionale e superlativo, di gran lunga migliore del suo predecessore. Attendiamo con trepidazione altre perle di questo stupefacente ensemble. VOTO 8

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