Nexus Opera

RECENSIONE A CURA DI CLAUDIO CAUSIO

Il momento difficile in cui riversa il mondo intero, i vari lockdown e il pericolo del virus dietro l’angolo non hanno rallentato i progetti dei Nexus Opera di offrire al proprio pubblico un album che celebrasse i cento anni della Grande Guerra e che facesse da seguito, a livello musicale, al primo disco, “Tales from WWII”. La band, che dai suoi albori nel lontano 2003 non si è fermata dinnanzi a cambi di formazione e lunghi anni di inattività, non lo ha fatto neanche davanti ad una pandemia globale e rilascia, ad inizio 2021, “La Guera Granda (The Great Call to Arms)”, sorta di prequel dell’album d’esordio, in quanto incentrato non più sulla Seconda ma sulla Prima Guerra Mondiale, in particolare sulle vicende che hanno coinvolto l’Impero Austro-Ungarico e il Regno d’Italia. In generale, l’album risulta un buon lavoro, godibile e piacevole: dieci tracce per circa un’ora di power metal che però trascorre senza fatica. La composizione è ottima, segno di continua maturazione da parte della band. Si fa spesso uso di cori femminili o controcori maschili che non si limitano a supportare la voce principale ma giocano ad un botta e risposta con essa. Altro elemento interessante è il pianoforte, riprodotto dal tastierista Gianfrancesco Araneo, che, come si vedrà, figurerà anche come protagonista principale, qua e là. Mentre dal lato strumentale i virtuosismi si sprecano, dal lato vocale Davide Aricò offre una prestazione decisamente buona, fatta di energia e musicalità, accompagnato, come si è detto, da una sezione corale davvero ben fatta, segno evidente dell’attenzione prestata in generale alla composizione e ai particolari che, si sa, fanno la differenza. Se questi sono gli aspetti positivi de “La Guera Granda”, non mancano, purtroppo, quelli negativi. Uno è, in realtà, l’elemento che compromette leggermente le cose, non favorendo certo l’ascolto e non rendendo giustizia al lavoro fatto dai Nostri. Stiamo parlando della produzione, che certamente non eccelle e che, di fatto, risulta un punto di regresso rispetto al disco precedente. In particolare, sembra anzitutto che tra la prima metà dell’album qui attenzionato e la seconda ci sia una differenza, da questo punto di vista: nei primi brani emergono dei momenti eccessivamente concitati, dal sound sporco e non curato, soprattutto per quanto riguarda la coppia ritmica basso-batteria: finché Alessandro Novelli, che siede dietro le pelli, si limita all’accompagnamento, tutto sembra filare liscio, ma quando si lascia andare a fill anche semplici, qua e là sono evidenti dei vuoti, musica che tende più a frastuono. Nel brano di apertura, ad esempio, intitolato Great Call to Arms, durante l’assolo di tastiere il sound della sezione ritmica strizza l’occhio più ad una produzione “da demo” che da album vero e proprio. Lo stesso si può dire per la voce la quale, per l’intero disco, soffre una eco e un suono ovattato, che certo non rendono onore alla prestazione offerta. La seconda metà del full-lengh, invece, risente meno di questo difetto, il che, da un lato, migliora le cose, dall’altro però sembra dimostrare una cura non uniforme, per quanto riguarda mix e master. Entrando nel merito del disco, come si è detto molti sono gli aspetti positivi che emergono dalle dieci canzoni. Mentre la traccia di apertura, al di là dei controcori coinvolgenti, risulta un brano piacevole ma per nulla particolare, la seconda, Strafexpedition, alza leggermente l’asticella: gli elementi caratteristici sono i medesimi del pezzo precedente ma implementati nella loro capacità di coinvolgere, tra cori lirici, cori maschili che rispondono alla voce principale e una tastiera molto più vicina all’influenza “Rhapsody” che a quella “Sabaton” (ci si aspetterebbe l’inverso, viste le tematiche), soprattutto nell’assolo finale. Chi scrive ha invece apprezzato particolarmente il terzo pezzo, Raid Over Vienna, che dal punto di vista compositivo non aggiunge nulla, ma risulta particolarmente catchy e coinvolgente, come deve essere una canzone power metal. Si segnala, in seguito, la ballad “di rottura”, “Dreams Fade Away”, quinta traccia del disco. in questa situazione, le carte in tavola vengono sparigliate. Anzitutto, la canzone si apre con una chitarra che di metal ha poco, ispirata più a “Innuendo”, dei Queen. Scelta azzeccata, se si pensa che i quasi sei minuti di “Dreams Fade Away” scorrono per lo più scanditi dalla coppia “Aricò-coro lirico femminile”, la quale concorre con la suddetta chitarra a restituire un pezzo davvero ben fatto, triste e al contempo piacevole al punto giusto. Le cose cambiano sul finale, quando, da ballad, “Dreams Fade Away” muta in un brano più consono alle linee guida tracciate dai suoi predecessori. È qui che il pianoforte svolge un ruolo da protagonista: con un intermezzo ritmato, scandito proprio dalle sue note, si passa ad una sezione finale che nella melodia rispetta la prima, ma la parte strumentale si carica di distorsioni e doppia cassa per una cavalcata conclusiva. Brano davvero ben fatto che, insieme con “Raid Over Vienna”, a detta di chi scrive è probabilmente il migliore del disco.
Il resto dell’album aggiunge poco a quanto già sentito, se non una sezione parlata, resa con effetto megafono ed in italiano, e un accenno di growl presenti in “Trenches”, e un lavoro compositivo particolareggiato per quanto riguarda “The Mine”, che comprende suoni non musicali ad accompagnare il brano (per esempio una radio distorta ad inizio e chiusura del pezzo), oltre che elementi già citati ma implementati, come la tastiera “di interdizione” che permette un passaggio da una sezione ad un’altra del pezzo, comparsa precedentemente sottoforma di pianoforte e ora di synth, che richiama più suoni futuristici che elementi del passato. Un’ultima nota per la traccia di chiusura, “Ignoto Militi”, differente dal resto dell’album non solo per l’introduzione non-musicale fatta di spari e, in generale, di rumori bellici, ma anche per il fatto di essere interamente strumentale. Insomma, si può affermare che “La Guera Granda” sia un buon disco, ma paga un lavoro di mix e master non eccellente, certo non adatto ad una band, quale i Nexus Opera, con una carriera alle spalle ultradecennale. Si sarebbe potuto certo fare di più, da questo punto di vista, ma non da quello della composizione: l’album è ben scritto, coinvolgente, piacevole, in chiaro stile power metal, ma chi scrive è convinto che, con una maggiore attenzione alla produzione, avrebbe potuto essere un lavoro ancora migliore. Ci si aspetta, tuttavia, un terzo disco che possa superare questo scoglio e sposare l’ottima scrittura dei Nexus Opera con un lavoro di mix e master più consono alla dimensione che i ragazzi romani ricercano e al progetto che hanno in testa, in cui è proprio un sound pulito e distinto che può fare la differenza fra un disco Bello ed un bel disco. VOTO 7

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