Manoluc

DOMANDE A CURA DI LAURA CASSARA

Iniziando da un’introduzione, raccontate chi siete? Cosa vi ha spinti a chiamare il progetto Manoluc? Questo nome ha un particolare significato per voi?

Tutto nasce per caso più o meno. Era da un paio di anni che tra il serio e il faceto pensavamo di suonare assieme ma tra progetti paralleli e impegni quotidiani era una cosa rimasta lì, ferma. Poi nell’estate del 2010 abbiamo iniziato a trovarci e piano piano il gruppo ha iniziato a prendere forma, con molte idee e senza nessun tipo di pressione. Non è stato semplice trovare la nostra strada perché tutti venivamo da esperienze diverse e sostanzialmente eterogenee, ci abbiamo messo un po’ per trovare il nostro stile. Penso ci siamo riusciti perché ci siamo sempre divertiti e perché non ci siamo mai presi troppo sul serio. In tal senso, il nome è significativo: è un gioco di parole, nato grazie a qualche serata in cui le birre erano abbondanti, per prendere in giro un certo tipo di scena metal (e soprattutto i suoi fans) che si prende troppo sul serio.. ma non saremo di certo noi a spiegarvi il significato (Nicola Revelant, batteria).

Sfruttate un’ampia gamma di generi musicali, ma con quale di loro vi “identificate” maggiormente?  

Domanda difficile. Come detto prima, tutti noi veniamo da esperienze diverse.. Tommaso (voce) e Alessandro (chitarra) sono senza dubbio la parte più estrema in questo senso, hanno sempre suonato in gruppi metal rifacendosi soprattutto alla scena black e death.. Giulio (basso) ha spaziato (e spazia) su più generi, dal metal al grunge al rock, mentre io ho suonato prima punk e poi new wave.. sicuramente abbiamo trovato molti punti in comune in quei gruppi che sono riusciti a esprimersi su generi difficilmente etichettabili e che sono riusciti a mescolare più generi.. penso ai Nevermore, i Meshuggah, i Mastodon fino ad arrivare ai più recenti Gojira. Ci piace in qualche modo sperimentare, trovare qualcosa di originale e non importa se non lo si può fare rientrare in una sola categoria (Nicola Revelant, batteria).

Cosa potete rivelare riguardo composizioni e testi? Chi è la mente della band?

Non credo si possa parlare di “mente del gruppo”, in quanto il processo di elaborazione dei brani si sviluppa organicamente e ciascuno di noi contribuisce col proprio apporto. Di solito tutto parte da dei riff concepiti e proposti da Alessandro, presentati in sala prove o trasmessi telematicamente dopo averli registrati col computer. Gli altri ragazzi ci mettono del loro finché il pezzo non assume una struttura quasi definitiva. A quel punto io inizio a emettere suoni inintellegibili e sbraitare al microfono immaginandomi una metrica e un cantato che abbiano un senso nel contesto del brano. Per quel che mi riguarda, questo ultimo “segmento produttivo” è la parte al tempo stesso più comica e più significativa: se da un lato evidenzia la dimensione grottesca del cantato death, che offre il fianco alla critica della sua “intercambiabilità” (cosa che sicuramente vale in molti casi ma non condivido del tutto perchè credo molto in ciò che Fosco Maraini ha dimostrato con la sua poesia “il lonfo”), dall’altro assomiglia molto ad un’esperienza interiore non dissimile da quelle offerte dal teatro di improvvisazione assumendo connotati assai interessanti. Non vorrei però con questa analogia passare per uno di quei fricchettoni che si fregiano del titolo di “teatranti di strada” o analoghe supercazzole. Sono molto lontano da quella disordinata galassia. Anzi, ad essa  imputo l’aver infangato, attraverso il conformismo estetico e formale, la parte più interessante dell’esperienza artistica: quella che in assenza di termini più appropriati definirei “sciamanica” o “medianica”. Perchè c’è. Lo sa chiunque “faccia sul serio” e non giochi a fare il poeta maledetto ma si metta sinceramente allo specchio quando prova a partorire una performance artistica di qualsiasi tipo. Finita la fase dei rutti al microfono (che a volte dura anche svariati mesi, se non anni) il magma evocato solidifica e ci dipingo sopra il testo alla maniera dei rapper: con un continuo ascolto e rewind a segmenti, comunque sempre ricollegandomi a ciò che l’atmosfera del brano mi comunica. Altre volte mi capita di adattare cose che ho già scritto in passato, modificandole e stravolgendole in funzione del brano. Se c’è una “mente”, è quella dell’eggregora che si viene a costituire quando interagiamo! (Tommaso Napolitano, voce)

Ci sono argomenti in particolare a cui vi ispirate? 

Più che ispirarci a qualcosa, direi piuttosto che avvertiamo l’urgenza di parlare di qualcosa. Dopo un paio di canzoni non ci fai nemmeno caso,  ma ora che abbiamo fatto uscire il secondo disco possiamo guardarci indietro e tirare le somme su ciò che maggiormente caratterizza i testi dei Manoluc: direi si tratti di descrizioni e narrazioni in chiave mitologico/epica, di stati psichici, positivi o negativi che siano. Nel disco appena uscito, “Asa Nisi Masa” questo è già dichiarato negli intenti, trattandosi di un concept album incentrato sull’evoluzione dell’anima e sulle sue lotte per svilupparsi. E la figura femminile che intima il silenzio in quarta di copertina (come pure alla fine del video di “solstizio”, reperibile su youtube) con il segno di Arpocrate o Angerona che sia, ci mette un bel sigillo per chi ha orecchie per intendere. Ma rileggendo anche quelli ancora in inglese del primo disco “Carcosa”, si nota che pure lì, per quanto con bersagli più “sociali” (l’industria della comunicazione, il sistema economico, le intrusioni di venefici morbi psichici nel sistema uomo, l’incontro con l’animale totemico in una canzone ispirata dal Batman di Miller, la messa in scena di un brano dallo Zarathustra di Nietzsche…), possiamo osservare come l’obiettivo sia sempre parlare dell’universo psichico dell’uomo. La sola differenza è l’approccio maggiormente mitologico del nuovo disco. Il mito è sempre presente e riproducibile laddove il sociale è contingente, dunque transitorio. Mi vengono in mente il testo di “Rapace” o di “Solstizio” in cui posso vedere non uno ma molti momenti della mia vita, tutti adattissimi al testo. E ovviamente spero ciò valga anche e, magari di più, per l’ascoltatore. Asa Nisi Masa è un disco che tanto nel titolo quanto nell’artwork vuole citare il film Otto e Mezzo di Fellini, riprodurne i momenti più onirici declinandoli ovviamente nella chiave epico-tragico-horrorifica tipica del genere che suoniamo, non adeguandosi però ai canoni lirici ed estetici del genere. Preferiamo spostarci in un ambito meno scontato e più “cantautoriale”, se mi passi il termine (a tal proposito sottolineo che a parte le citazioni accreditate ce ne sono tante altre che non lo sono, e mi farebbe piacere sapere che qualcuno a noi simile sia in grado di coglierle). Ho inoltre cercato di mettere in scena dei veri e propri racconti e spero il risultato sia degno di quello che avevo in mente. Chiaramente a mente calda è difficile giudicare il proprio operato, ma penso perlomeno il risultato non sia qualcosa di cui vergognarsi. (Tommaso Napolitano, voce)

Particolare scelta quella di utilizzare campionamenti “compresi tra Pasolini e cinema di genere”: mera passione? Cosa ci potete dire a riguardo?

Particolare fino a un certo punto: il campionamento dal telefilm “il prigioniero” fatta dagli Iron Maiden per la canzone “The prisoner” risale a “The number of the beast”, album del 1982. Ma concordo sul fatto che nei contesti metal canonici questa sia una pratica rara. In verità quella del campionamento è una risorsa comunicativa la cui potenza non viene molto presa in considerazione nel rock e nel metal. Noi la riteniamo una piacevole opera di collage sonoro che può funzionare da “trigger” per attivare richiami di significato attraverso l’evocazione del ricordo o il semplice stimolo della curiosità qualora il film non sia noto all’ascoltatore (e ovviamente nella nostra soggettività godiamo nell’onorare opere a noi care). Nel metal è utilizzata prevalentemente nei sottogeneri industrial, nel crossover o nelle cose più sperimentali o danzerecce, vedi Rob Zombie. In altri ambiti musicali le cose cambiano: molti rapper ci costruiscono di frequente le basi delle canzoni ottenendo effetti emotivi sorprendenti, per non parlare di tutte le frange dell’elettronica, estrema o non, dove non si disdegna di inserirli spesso distorti e stravolti, vedi Alec Empire e compagnia. Quando ti raggiunge uno stralcio di dialogo preso da un film, un loop di una canzone, può succedere che tu lo riconosca, e magari ti si attivi una gamma di ricordi collegati, soprattutto se ami l’opera citata. Galvanizza. Ti apre mondi interiori alla maniera delle “ricordanze” di Leopardi. Oppure,  in caso di ignoranza, può venirti la curiosità di indagare l’origine del campionamento. Nel primo caso il musicista sta dicendo all’ascoltatore “siamo simili io e te”. Nel secondo gli sta offrendo una “mappa del tesoro” per scoprire film, libri, poesie, fumetti, canzoni che magari non conosceva. Penso non siano pochi i ragazzi che senza i Blind Guardian non avrebbero mai sentito parlare di JRR Tolkien, ad esempio. Senza i Maiden tanta fantascienza e tanto horror non avrebbero riscosso successo nelle generazioni più recenti. È  in questa ottica che va interpretato tutto il patrimonio citazionistico dei nostri due dischi: cercare dei “simili” od offrire a chi lo è in potenza degli spunti. Non definirei comunque “passione” quella che ci avvince a certe opere: è che siamo un gruppo costituito da persone quasi coetanee, cresciute con gli stessi film, le stesse barzellette, le stesse canzoni. Mediaticamente “programmati” allo stesso modo: da Verdone a Monicelli passando per Fantozzi, Matrix, True detective, Rocky, Conan il Barbaro, Fight Club o  Tutti Giù Per Terra (film e libro) e tutti i cartoni che abbiamo amato da piccoli, non possiamo parlare di opere che osserviamo con l’occhio del critico, ma di elementi che costituiscono la spina dorsale della nostra cultura essendo noi stati protagonisti, nel bene e nel male, di quella gigantesca opera di programmazione sociale anni ottanta/novanta avvenuta attarverso la TV con rito scanditi quotidianamente a orari fissi come la messa. In un certo senso si tratta della nostra mitologia, del nostro folklore e abbiamo scelto opere che, nonostante la dimensione “popolare” avevano qualcosa da dare in termini simbolici o di critica. Non siamo i Guidobaldo Maria Riccardelli del Metal, casomai l’Oscar Pettinari della situazione, se non addirittura Mimmo. Non sappiamo  nulla di semiotica e non ci definiremmo mai cinefili, anche perchè chi si fregia di tale titolo di solito non capisce granchè, con buona pace dei laureati al dams o presso la “facoltà” di scienze della comunicazione. Parafrasando un J Ax d’altri tempi: io sono la classe media con la sua innocenza/Diego Abatantuono che fa: “Viuuuuuenzaaa”. Il metallino medio(cre) che storce il naso a questa citazione è la causa della terribile bonaccia in cui è incappato, dal punto di vista dei testi, il vascello del metal soprattutto italiano. (Tommaso Napolitano, voce)

Cosa pensate dell’attuale scena musicale italiana? Credete che il vostro stile sia abbastanza apprezzato? 

Difficile parlare della scena musicale italiana dopo un anno e mezzo di pandemia. La situazione in Friuli fino a marzo dell’anno scorso era abbastanza buona, c’era stato forse un lieve calo negli ultimi mesi, ma tutto sommato si suonava ancora e c’era un certo seguito, non grandi numeri per carità, in linea con quello che è stato il movimento dagli anni Novanta ad oggi:  diversi gruppi validi e uno zoccolo duro di appassionati. Ora con le possibili riaperture vediamo cosa succederà; diversi musicisti di valore che stimiamo e con cui abbiamo avuto il piacere e l’onore di condividere il palco han fatto uscire i loro nuovi lavori durante la pandemia, proprio come noi, e speriamo quindi di ritrovarci al più presto insieme a suonare o a scatenarci ai festival o nei locali. La nostra proposta è sempre stata un po’ ostica, dal momento che abbiamo sempre suonato quello che abbiamo voluto, e ora, non paghi, abbiamo pure aggiunto il cantato in italiano! Le scelte commerciali non sono il nostro forte, ma sappiamo che nel metal può essere anche un punto di forza, e che i nostri lavori non saranno di facile assimilazione ma resistono al tempo perché pensati a fondo in maniera personale e perché al di fuori delle mode del momento (Alessandro Attori, chitarra).

Che significato ha per voi “essere musicisti”? Da bambini avreste mai immaginato di creare un progetto musicale?

Per quanto mi riguarda, ho iniziato a suonare uno strumento ispirato dai gruppi che ascoltavo quando avevo 15-16 anni. All’epoca avevo ancora degli “Idoli Musicali”. Ed è stato bellissimo, una folgorazione. Passavo le ore in camera a suonare. Infilavo la casettina di Ride the Lightning nel mangianastri e ci suonavo sopra tutto il pomeriggio. Bei tempi. E’ un ottimo metodo per sfogare certe frustrazioni del vivere quotidiano oltre che a dare uno sbocco alla propria creatività. E in questo senso sono stato fortunato perché ho sempre suonato in gruppi che proponevano pezzi originali dove potevo dare sfogo alle mie idee musicali. (Giulio Cucchiaro, basso)

Parlateci in generale della vostra discografia.

Dopo 10 anni di attività abbiamo pubblicato due album. Questo ad indicare che la nostra produzione ha bisogno dei tempi necessari per vedere la luce. Non abbiamo contratti da rispettare e quindi ci prendiamo il tempo necessario per creare le nostre canzoni. Il primo album Carcosa uscito nel 2016, era si variegato nella struttura dei pezzi, ma molto “acerbo” e non tutto quadrava a dovere. Con Asa Nisi Masa credo ci sia stato uno step notevole, sia per la ricercatezza di suoni e testi, sia per la produzione finale. Per chiunque fosse comunque interessato all’ascolto, siamo presenti su BandCamp. (Giulio Cucchiaro, basso)

Da quale vostro brano vi sentite più rappresentati? C’è qualcosa di nuovo in arrivo? 

Quasi all’unanimità il nostro brano più apprezzato è “Ouroboros Corporation” il primo del nostro precedente album “Carcosa”, che abbiamo sfruttato anche come singolo. È un po’ la nostra “Angel Of Death”, anche se in fin dei conti assomiglia più a un pezzo dei Satyricon “di mezzo”. Speriamo che almeno una canzone del nuovo “Asa Nisi Masa” raggiunga tale status, ce ne sono diversi diretti e tirati che potrebbero insidiare il primato di Ouroboros secondo me! Proprio in questi giorni sto lavorando nel mio piccolo studio casalingo a un pezzo nuovo di zecca veloce ed estremo ma anche epico e melodico, mi auguro possiate sentirlo al più presto (Alessandro Attori, chitarra).

Quali sentimenti o emozioni vorreste trasmettere ai vostri fan mediante le note da voi create?

Le vicissitudini dell’ultimo anno e mezzo mi hanno fatto riscoprire il valore catartico dell’estremismo del black e del death; sfogare la propria rabbia sulle note furiose di un brano veloce sparato a volumi indecenti è sempre un bel toccasana! Ma da quando suoniamo insieme è sempre rimasto sottinteso che lo spettro delle sensazioni che vogliamo provocare deve essere il più possibile vario e sfaccettato, e che il fine ultimo è lanciare un messaggio positivo, di speranza e rinnovamento interiore, come uno spiraglio di luce in mezzo alle tenebre (Alessandro Attori, chitarra).

La parola è vostra, c’è qualcosa che volete riferire ai vostri fan?

Grazie a tutti quanti hanno già acquistato “Asa Nisi Masa”, disponibile in formato fisico e digitale su bandcamp, e chi ci ha sostenuto comprando “Carcosa” e venendo ai nostri concerti! Speriamo di vederci al più presto dal vivo, che è una dimensione che ci ha sempre caratterizzato e alla quale non vogliamo rinunciare.

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