RECENSIONE A CURA DI DAMIANO MUZIO

Line – Up:
Rayan Resuli – Chitarra
Mattia Rodella – Chitarra
Matteo Mancini – Voce
Gianluca Minto – Tastiera, Cori
Nicola Prendin – Batteria
Nicola Baesso – Basso
Tra i motociclisti Old School, vige un motto: “Quello che non c’è, non si rompe”, qui potremmo trasporre: “Quello che non c’è, non rompe”; “Moral Scenery”, album di debutto dei padovani Lining Redox, è il classico caso in cui “Less is Better” e la line- up a sei della band, lo denota: batteria, basso, due chitarre, tastiera e voce. Come loro stessi dichiarano, i Redox traggono ispirazione da Dream Theather e Rhapsody on Fire e si sente, anche se sono due band diverse, seppur con elementi comuni. Trarre ispirazione è normale e che le fonti traspaiano nella composizione è giusto e spesso inevitabile, ma ciò non vuol dire inserire a forza tutto di tutti: ritmica di chitarra stile Bay Area, batteria alla Lars Ulrich, che è tutto fuorché minimale, fraseggi di chitarra solista e tastiera in stile neoclassico: veramente troppo, se unite ad un cantato tendente al falsetto. Il disco apre con “Reminescent”, una sorta di intro in chiave neoclassica, con tanto di cori, un po’ lungo e prolisso, anche se dura solo due minuti; “Deat’s Cold Lifeless Sound” segue a ruota, un secondo prologo affidato alla tastiera, sempre di stampo neoclassico, prima di entrare nel vivo del pezzo; la struttura è quella: chitarra ritmica veloce, fraseggi solisti chitarra/tastiera; dopo l’introduzione musicale estremamente tecnica, si mettono subito in evidenza le doti vocali di Matteo decisamente ad alto livello, con punte melodiche ed epiche non indifferenti. Un brano di quasi dieci minuti con diversi cambi di tempo e inserti acustici, cosa comune ad altri pezzi che seguono. “Faithless “ è decisamente un brano più semplice ed aggressivo, un buon inizio, se ci si fosse fermati lì: con il cantato che entra dopo al massimo i primi due giri di chitarre, senza il cameo di tastiera, che appesantisce il tutto; gustosi sono i cambi di tempo , con la bella linea di basso e batteria. Anche qui la voce di Matteo, anche se acerba e ancora poco personale, supera ottimamente la prova. Il brano che cattura l’attenzione, musicalmente, è “The Moral Scenery”, bello, pulito, duro, moderno, unica nota stonata è il mood vocale che avrebbe dovuto tenere il passo della ritmica granitica. Altri esempi di capacità tecnica e compositiva, sono “Thunderquake” e la Title Track, “Moral Scenery, qualità che però non sono idirizzate verso uno stile personale, univoco e pulito. Come se non fosse abbastanza, la suite in tre parti di “Trascending”, aggiunge ridondanza compositiva al concept album e il troppo qui stroppia davvero: un calderone di Prog anni ’70 e Metal; power e ballad; growl e melodico e, se poteva mancare, persino l’inserimento di un sassofono. In conclusione: il disco è ben suonato e le idee ci sono, forse anche troppe; i Ragazzi ce la sanno, sono tecnicamente bravi e hanno ottime intuizioni compositive; del resto non deve essere stato facile incastrare tutti i numerosi tasselli dei puzzle che formano i loro pezzi; occorre semplificare: cercare una strada ed uno stile proprio, senza alchimie metriche e musicali che appesantiscono i brani, quasi ci fosse la necessità di dover dimostrare qualcosa. Togliere è quasi sempre meglio che aggiungere: la bellezza sta nella semplicità; tutto il resto è dimostrato dal fatto che i padovani Linin Redox hanno vinto numerosi contest musicali. VOTO 6