Kryptonomicon

RECENSIONE A CURA DI ENZO “FALC” PRENOTTO

Non si poteva iniziare il nuovo anno senza un altrettanto nuovo esordio underground. Questa volta ci si addentra nel nord Italia, per la precisione a Monfalcone in Friuli Venezia Giulia, per fare la conoscenza dei Kryptonomicon ovvero un progetto di death/black metal nato nel 2019 grazie al fondatore e compositore Stefano Rumich (batterista dei Karnak e partecipazioni in gruppi come Revoltons, Il Treno degli Specchi e Endangered Pirates). Nel giro di pochi anni la lineup si assesta attorno alle figure di Luca Sterle alla voce (presente anche come vocalist nei Fauno Di Marmo, Rebus, Le Carogne, Il Treno degli Specchi e Murder Angels), Frank Ponga al basso e cori (anche lui nei Karnak come chitarrista/cantante) e Diego Rossi alla batteria (numerose anche le sue collaborazioni come Warfare e Valhalla) portando alla pubblicazione di due EP che permettono al gruppo di trovare la propria strada fra covers e diversi inediti che finiranno poi in questo primo album chiamato Nekromantikos. Il disco è un manifesto di amore verso gli anni ‘80 e tutte quelle bands che facevano della ferocia grezza il loro marchio di fabbrica grazie ad un sound oscuro e primordiale lontano da produzioni stellari ed approcci mainstream (per citare qualche nome si pensi a primi Bathory, Venom, Hellhammer o Possessed). L’incedere doom dell’opener track “Nekromantikos” è fulgido e velenoso esempio degli intenti del quartetto grazie a ritmiche di batteria marziali, campane demoniache e la chitarra sporca e sfibrante di Stefano che nel successivo assalto all’arma bianca “Nocturnal Kill” sfodera riffs arcigni in un turbine thrash/black cavernoso metal fra Kreator, Sodom e il Quorthon più aspro ben sottolineato dal cantato acidissimo di Luca. Si sentono chiaramente moltissime influenze della corrente estrema ottantiana e nonostante l’approccio compositivo non sia originale si sente comunque che la band ci sa fare e potrebbe evolversi in una bestia dai denti molto affilati. C’è un po’ di sperimentazione che va colta nei meandri drone/ambient dell’ossessione liturgica di “Timor Mortis Morte Pejor”, nel groove schizofrenico di “Churchman” (con dei gelidi giri di chitarra) o anche nella lunga “The Omen” che mischia i Celtic Frost più funerari ed un lavoro solista pregno di pathos epico che riporta alla mente il meraviglioso Testimony Of The Ancients dei Pestilence. Dall’altra parte ci sono episodi più orientati verso il death americano degli Obituary (“Baron Blood”) grazie a numerosi cambi di tempo, accelerate impetuose e muri di basso ad alto tasso di godimento grazie al lavoro di Frank e alla controparte ritmica di Diego. Completano l’opera il micidiale punk/thrash modello Sodom di “Zeder” e gli episodi più quadrati e canonici a nome “Blind Resurrected”, “Thousand Cats” e “The Ritual” che nonostante non siano un vero e proprio valore aggiunto si lasciano ascoltare piacevolmente. Un plauso infine alla personale cover “The Passion Of Lovers” dei fondamentali Bauhaus. Sebbene, come già detto, ci siano molti rimandi a colleghi più conosciuti, i pezzi funzionano e sono dinamici al punto giusto facendo emergere piccoli sprazzi di personalità. Una piccola realtà nostrana che merita attenzione, tecnicamente preparata e con buone idee. Da tenere d’occhio. VOTO 7.5

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