RECENSIONE THE WILL OF EVIL

DOMANDE A CURA DI ENZO “FALC” PRENOTTO
Ciao ragazzi e benvenuti sulla neonata Book Of Metal Webzine. Innanzitutto saremmo curiosi di sapere la storia della band ed ognuno dei musicisti coinvolti da che esperienze arriva dato che siete una band “relativamente nuova”.
Ranza: Il progetto di Julia e i riparatori di tetti (ma nello slang inglese roofers significa anche “spacciatori”) nasce nel 2018 con la voglia di supportare il talento di Giulia nel canto. Io e Peso ci siamo messi a sua disposizione facendole scegliere il repertorio da proporre in trio acustico. Lo spirito creativo di Giulia però ha fatto sì che ci venisse spontaneamente voglia di proporre dei brani inediti e senza dubbio per nessuno si è deciso di lasciare la strada acustica per quella elettrica. Per quello che riguarda i membri della band su Peso non c’è da dire nulla, una delle colonne del metal italiano, la sua influenza è molto chiara, io vengo da esperienze musicali molto diverse, ciò che ho radicato dentro è il jazz e soprattutto Pat Metheny e John Coltrane, ma anche la drone-ambient-psychedelic music avendo collaborato con Davide Zalaffi, ora batterista degli Ozric Tentacles.
Julia invece ha bazzicato in vari gruppi della scena rock/metal genovese, sia come cantante che chitarrista, ed è stata per qualche anno la voce principale degli “Hermits” tributo ai Led Zeppelin.
Che idee ed obiettivi vi siete posti quando vi siete messi al lavoro sul vostro disco di debutto “The Will Of Evil”?
Julia: Diciamo che durante il periodo in cui ci siamo proposti come trio cover molte persone ci hanno chiesto come mai non provassimo a scrivere un qualcosa di nostro. Il lockdown ci ha in un certo senso aiutato a trovare quella tranquillità necessaria a creare del nuovo materiale. Quando ho iniziato a scrivere i pezzi per “The Will of Evil” non avevo in mente una direzione di stile ben precisa. Trattandosi della mia prima esperienza come autrice, ho deciso che avrei “portato alla luce” tutto quello che mi passava per la mente, senza fossilizzarmi sui limiti imposti dai canoni di genere. Il mio obiettivo principale è sempre stato quello di creare un qualcosa di appetibile ma non scontato, che potesse reggere gli argomenti cupi e profondi che ho deciso di trattare in tutto il disco.

Chi si è occupato principalmente di scrivere i brani? Siete principalmente dei musicisti che compongono tramite jam sessions o ognuno compone in privato e poi mettere le idee assieme?
Ranza: Purtroppo non abbiamo potuto sviluppare la fase compositiva e di arrangiamento come volevamo a causa della pandemia, però abbiamo lavorato a distanza molto alacremente cercando di mettere a punto al meglio tutte le sfumature che ci chiedeva Giulia, in questa prima fase noi eravamo il suo veicolo, la cosa principale per me e Peso era far risaltare i brani come erano nella mente di Giulia senza che venissero snaturati.
Ascoltando il disco emergono molte influenze, in primis il grunge, ma vengono fuori anche altre idee non così scontate. Quali sono le bands che vi hanno “condizionato” di più nella lavorazione dell’album? O preferite arrivare a comporre a mente lucida?
Ranza: Personalmente ho sempre cercato di lavorare nella composizione e nell’arrangiamento come “me stesso”, come dici giustamente a mente lucida, chiaramente poi emergono le influenze di tutti. Per ciò che mi riguarda quando mi risento suonare sento una ricerca della peculiarità e della “notina strana” che deriva dal free jazz e dalla psichedelia, anche l’intro di Gardens per me è stato un invito enorme a mettere in campo suoni e sperimentazioni psichedeliche.
Julia: Il tocco grunge nasce dalla mia passione per gli Alice In Chains, sono molto fan del lavoro di Jerry Cantrell. Altri gruppi che mi hanno in un certo senso influenzato sono i Type O’Negative, soprattutto per quanto riguarda le atmosfere, e i Led Zeppelin per lo stile vocale.
Nel disco appare anche un sitar, sfruttato a nostro avviso però troppo poco. Pensate di riutilizzarlo in futuro?
Ranza: Il sitar è la porta d’ingresso verso un mondo particolare e incantato, abbiamo deciso di centellinarlo in questo disco per non far entrare i pezzi in una nicchia sonora un pò borderline. Io tra l’altro non avevo fatto menzione dell’uso del sitar ma la stessa Giulia mi ha chiesto di metterlo nell’intro di Summer e l’ho fatto molto volentieri. Nel repertorio acustico ci siamo spinti a fare cose “estreme” come suggerito da Peso, cioè il riff di “Mistreated” dei Deep Purple col sitar, quindi direi che si, valuteremo un uso più ampio del sitar nei prossimi lavori.
Parliamo della vostra cantante, Giulia. Bisogna dire che è una notevole scoperta anche per il fatto che riesce a districarsi fra molti stili, cosa non da tutti. Dà alle canzoni quel qualcosa in più che fa la differenza. Come si approccia alle canzoni?
Julia: Negli anni ho avuto la possibilità di studiare con vari insegnanti ma, soprattutto, ho cercato di mantenere alta la mia curiosità militando in vari gruppi dai generi più disparati (oltre alle principali band rock/metal ho cantato anche in gruppi blues, funky e reggae). Quando mi approccio a una canzone cerco sempre di essere riconoscibile ma soprattutto trasparente nelle intenzioni che voglio trasmettere. In “The Will of Evil” è stato tutto abbastanza spontaneo in quanto tengo molto ai pezzi e a quello che vogliono dire.
Il progetto avrà un suo seguito o al momento è una cosa temporanea? Pensate magari di portarlo sul palco? (ovviamente quando ci sarà nuovamente la possibilità).
Ranza: Noi non vediamo l’ora di proporre i nostri pezzi dal vivo! Anzi questa situazione ci dà ancora più forza e carica, io personalmente è da quando ho finito le registrazioni che sto ottimizzando la strumentazione per gli impegni live 😉
Julia: Non vedo l’ora di poter dare una veste live a questo disco! Stiamo lavorando per perfezionare la nostra formazione elettrica, che per noi è una novità, ma allo stesso tempo stiamo buttando giù del nuovo materiale.
Tre dischi per ognuno di voi che hanno cambiato la vostra vita o il vostro modo di intendere la musica.

Ranza: Solo tre? Difficilissimo! Direi che senza dubbio uno dei fondamenti per me è “A secret story” di Pat Metheny, si va oltre il jazz, oltre la tecnica, oltre ogni cosa. E’ un viaggio, un incanto musicale. Un disco che ha cambiato il mio modo di intendere il metal per esempio è stato “Elegy” degli Amorphis, dentro c’è dal folk alla disco music al growl al prog, un disco che trovo epico. Il terzo è “Interstellar space” di John Coltrane, l’inno del free jazz e della psichedelia, un drum work spettacolare di Rashied Ali con Coltrane che lasciava andare la sua creatività…difficile da digerire per chi non è avvezzo al genere ;P
Julia: Così su due piedi direi “Led Zeppelin III” – Led Zeppelin, “Dirt” – Alice In Chains e “Norman Fuckin Rockwell!” – Lana Del Rey.
Peso: Direi “Reign in Blood” – Slayer, “Black Metal” – Venom e “Black Sabbath”– Black Sabbath che tra l’altro è stato interamente registrato e mixato in appena due giorni proprio come un demo.
Avete mai preso in considerazione l’idea di cantare in italiano?
Julia: No non ho mai considerato l’idea di cantare in italiano. Avendo sempre ascoltato canzoni in inglese non ho molto l’orecchio per la lingua italiana che in certi casi trovo più ostica sia nei suoni che nelle metriche. Sicuramente, volessi un giorno provare, dovrei studiare un bel po’ di dizione perché l’accento genovese non è molto armonioso!
La scena underground, già messa a dura prova in passato, ora appare sempre più sull’orlo del baratro causa i disastri causati dal COVID. Come vedete la situazione? Il futuro si prospetta forse migliore di quel che si crede?
Ranza: Credo che la scena underground, ma forse tutta la scena musicale si risveglierà come da un brutto sogno e, come una fenice, dovrà rinascere dalle sue ceneri. In giro c’è voglia di rinascita, di tornare ad essere padroni delle proprie vite, qualcosa che, spero, possa riportare alla luce la voglia di tornare ai concerti, di suonare dal vivo. Noi siamo pronti ad esserci.
Julia: spero vivamente che la gente, che spesso snobbava gli eventi più piccoli, abbia capito quanto sia importante per tutti il mondo dell’arte della musica dal vivo iniziando così a supportare le varie realtà locali e non, dando più visibilità ai nuovi artisti emergenti.
Grazie mille per l’intervista!