Julia and the roofers

RECENSIONE A CURA DI ENZO “FALC” PRENOTTO

Prima di parlare del progetto Julia and The Roofers bisogna andare un attimo indietro nel tempo e precisamente nel 2010 quando la singer Julia (alias Moladori Giulia) entra nel mondo musicale collaborando con diversi gruppi della scena locale (fra cui anche una tribute band dei Led Zeppelin) ligure anche in veste di chitarrista. Importante fu poi l’incontro con i musicisti Peso (Marco Pesenti dei Necrodeath) e Ranza (Emilio Ranzoni dei The Beatzone) con cui si diede vita effettivamente alla band in questione nel 2018. In origine il trio nacque come cover band ma non molto tempo dopo si decise di seguire la via della musica originale basandosi in primis sulla scena grunge degli anni 90’ senza però dimenticarsi di metterci un certo grado di personalità.
Oltre che alla già citata scena grunge debitrice di gruppi come Nirvana e Alice In Chains il sound del gruppo cerca spesso di sperimentare e portare la propria musica su nuovi scenari sonici. Se la chitarra massiccia di Emilio è spesso distorta (“River” con un interessante cambio di rotta inaspettato nel finale) allo stesso tempo è capace di ottime melodie a volte grigio/malinconiche come in “Summer (Seems so Easy)” che vede l’uso anche del sitar seppure venga sfruttato troppo poco nel disco. Ma non c’è solo questo in quanto ci sono anche delle buone intuizioni sperimentali sia nello stesso riffing, mai scontato, che fa da collante perfetto alle ritmiche della batteria del buon Peso che punta molto anche sulle percussioni come già nella band madre. Ne viene fuori un ibrido particolare fatto di diverse semi ballads sempre in bilico tra acustico ed elettrico come “Sound of Evil”, l’intensa “Gardens” o l’intimista “Eros & Thanatos” con una sofferta elaborazione melodica della sei corde. Fra le gemme più interessanti si trovano in primis “The Rope” grazie ai suoi giri di basso protagonisti e le ritmiche della chitarra mai prevedibili e sempre trasudanti groove Quest’ultimo fa da fondamenta per la complessa e nuovamente sfiziosa “Bones” piena di ritmiche strane di batteria, una chitarra cupa ed oscura ed in generale una certa avanguardia che può richiamare certe atmosfere degli anni 70’. La voce di Giulia offre davvero una prestazione notevole. La musicista infatti riesce a spaziare senza problemi fra il cantato ruvido, il pulito ed anche sfuriate decisamente aggressive (di forte ispirazione è probabilmente Robert Plant) incanalando la sua energia in un modo di cantare particolare dall’anima quasi soul che rende dinamica la musica del gruppo. C’è però un grosso problema che va a demolire molte delle qualità sparse nelle tracce (di andamento leggermente altalenante ma essendo un debutto ci può anche stare) ovvero la scelta dei suoni. La batteria è davvero fiacca, spompata e priva di mordente e molte volte pare quasi assente. Idem per la chitarra, spesso affaticata e pare sia in agonia. Solo la voce ha il giusto spazio ma tutto il resto degli strumenti è davvero spento e non si capisce come mai dato che dietro al mixer c’è Pier Gonnella, musicista preparato e professionale. Un vero peccato perché è davvero un colpo al cuore sentire musicisti di questo calibro martoriati da un missaggio così povero quasi fosse una DEMO.
Un esordio, forti difetti a parte, con molte buone idee e che può arrivare ad un pubblico eterogeneo oltre che ai fan del rock/metal. VOTO 6.5

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