RECENSIONE A CURA DI ENZO “FALC” PRENOTTO

Parlare degli In Tormentata Quiete equivale a parlare di un collettivo di musicisti, attivo fin dal 1998, che negli anni si è costruito una solidissima reputazione nell’ambiente dell’avant-garde metal o extreme metal se si preferisce. Il gruppo bolognese è partito dal black metal degli esordi per passare attraverso innumerevoli mutazioni come il progressive metal ed il folk come pure un certo modo di intendere il cantautorato. Questo Krononota è una sorta di epilogo di una storia che ha toccato ben cinque album e si presenta anch’esso molto complesso e filosofico ed è in linea con i precedenti dischi combinando moltissimi elementi senza per forza dover risultare troppo indigesto a chi non mastica propriamente il genere. In effetti l’avant-garde metal non è di semplice fruizione e spesso tende ad essere troppo pretenzioso con una vena spocchiosa e di superiorità eccessive. Ovviamente ci sono casi e casi e gli In Tormentata Quiete hanno sicuramente molte frecce al loro arco ed in questo caso si avvalgono anche di due nuovi innesti alla voce ovvero Samantha Bevoni (anche al basso dei folk metallers Diabula Rasa) e Davide Conti per ciò che concerne le parti in pulito.
Il disco è principalmente un film suddiviso in due parti. La prima, che evidenzia l’inizio e la fine dell’album (l’outro e titletrack “Kronometro”), esprime la voglia del protagonista del concept di tirare le somme della sua vita e ne è chiara esemplificazione nell’opener “’Urlo del Tempo” che rappresenta proprio un quadro dai mille colori che cerca in qualche modo di raccontare ciò che è stato in un mood molto tetro e simil –Cronologico- partendo da riff di chitarra storti ed antimelodici che si fanno via via black metal trascinando la furia nel prog ritmico della complessità esecutiva del basso e della batteria. La musica si fa sempre più piena di elementi e rispecchia l’evoluzione del gruppo inglobando un cantato molto “narrato” e poetico, influenze jazz grazie al caldo sax per arrivare poi all’irruenza metal delle devastanti chitarre. Nel mezzo ci sono le rimanenti cinque composizioni (il cinque è un numero che si ripresenta in più occasioni) che rappresentano dei ricordi speciali del protagonista in questione e che gli creano differenti sensazioni nel suo animo. Questi ricordi sono molto particolari e ricchissimi di dettagli e sfumature ed ognuna ha una propria identità sebbene ci sia una “sottile linea rossa” che le concatena. Impossibile descrivere gli innumerevoli passaggi strumentali o le possibili interpretazioni sui testi; per dare una piccola direzione bisogna musicale si parte dal gothic/doom alla My Dying Bride di “All’Alba: Sapor Umbro” con il suo distruttivo growl ben bilanciato dalla notevole voce femminile che si immergono poi in intermezzi folk molto in linea con colleghi come i Fiaba mescolati a numerosi cambi di atmosfera. Nella successiva “Alla Mattina: Color Daunia” si percepisce un desiderio di cambiare e forse avvicinarsi a qualcosa di più immediato (il disco in sé lo è abbastanza) grazie a profumi molto pop nelle melodie e nel tipo di cantato che, se non fosse per lo screaming, potrebbe tranquillamente portare ad un pubblico molto più mainstream e meno di nicchia. I testi, sempre cantati in italiano, sono sempre evocativi (richiamano anche gli Janvs) e sono sempre ben combinati a differenti ramificazioni sonore come nei marasmi deflagranti dell’unisono di basso/chitarra di “Al Pomeriggio: Lo Sguardo D’Anteo” o nelle sferragliate elettroniche di “Alla Sera: Abbraccio D’Emilia” per arrivare all’apoteosi di “Alla Notte: Odor Mediterraneo” smarrita nei tessuti sonici tanto cari ai Dismal. Il mix di testi e sonorità ricercate è comunque ben congegnato e la massiccia gavetta pone la band come una delle migliori del panorama con in più la scelta interessante di essere un po’ più fruibili a più frange di ascoltatori.
Un lavoro pieno, intelligente, complesso e molto piacevole che tiene vivo un genere arduo da seguire ma che porterà grosse soddisfazioni a chi ci si dedicherà con la giusta apertura mentale. VOTO 7.5