Everlust

recensione a cura di Enzo ”Falc” Prenotto

La scena musicale della Lettonia, a quanto pare, non se la passa benissimo in quanto a bands particolarmente attive nel territorio. Andando a spulciare nel dettaglio spunta fuori una band dalla capitale (Riga) chiamata Everlust ultimo baluardo della resistenza rock/metal che si affaccia nel Mar Baltico. Questo gruppo nasce dalla mente del cantante/chitarrista Vlad Pucens nel lontano 2006 e dopo parecchie vicissitudini (periodi di fermo, cambi di lineup ed una manciata scarsa di release) esce un primo album ben undici anni dopo, chiamato Hurts to Live, per poi ricomparire con una nuova formazione dopo altri cinque anni con il qui presente Diary Of Existence. Gli Everlust sono una di quelle bands che, come molti colleghi, rimane in bilico fra il rock ed una certa irruenza metal con voce femminile finendo in quel calderone capitanato da Draconian, Theatre Of Tragedy, Trees Of Eternity e molti altri evitando però la trappola del mainstream americano di colleghi come i Lacuna Coil, il pop/metal dei Within Temptation o le tentazioni sinfoniche oramai fin troppo abusate.Tralasciando la fin troppo luna simil-intro “Gemini” ed il pianistico finale “8” ci si deve concentrare di più sulla seconda traccia “Land of Dreams” che fornirà le linee guida per quasi tutto il resto del disco. Rispetto al precedente album si notano diversi miglioramenti sia tecnici che di produzione dove la qualità risalta già meglio a partire dalla nuova vocalist Kate che dona più colore alle composizioni che fino in passato erano piuttosto legnose e poco ispirate. La presenza di arpeggi delicati, vocals suadenti e melodie molto più decise rafforzano molto il risultato finale ed anche questa volta la distorsione e la violenza non esplodono mai ma vengono sempre calibrate a dovere come nelle sferragliate gothic/doom dei rallentamenti ritmici di “Despair” o nei riffs massicci della folle “Destroyer” (tristemente incompleta dove gli animi si spengono troppo in fretta). La musica è sempre orientata al lato emozionale snocciolando cesellature melodico/vocali davvero ben fatte e piacevoli (“Alone”) grazie agli intrecci chitarristici della coppia Pucens/Reksna che si dilettano pure in contaminazioni new wave/gothic rock anni ‘80 come nelle bellissime “Running” con quegli efficaci giri di basso ad opera di Savins, che si accompagna al drumming mai troppo impetuoso di Shangin ed “Everlust” che vede la voce di Vlad integrarsi al meglio con le sfumature gotiche dimostrandosi molto migliorato. Vengono fuori dei richiami anche agli olandesi Autumn, per quella sorta di freddezza impenetrabile che per essere compresa necessita del tempo, passando poi per la verve teatrale alla My Dying Bride della lasciva “Entwined” che vede alla voce l’ospite Matias Juselius dotato di un interessante timbro tenebroso. La nuova opera musicale della band non è esente da difetti viste le molte somiglianze fra le tracce ed un approccio melodico un po’ troppo ripetitivo eppure si nota un notevole passo avanti in tutto invogliando ad ascoltare l’album più volte senza che ci siano forzature o cose fuori luogo. E’ musica placida e tranquilla che può accontentare tutti, magari non originale e nemmeno da far gridare al miracolo eppure funziona molto bene lasciando un bel senso di piacere dopo l’ascolto. Dopo un secondo album di questa caratura ci sono ottime prospettive per un terzo disco molto più maturo e riuscito. Si spera le premesse vengano confermate. Da seguire!!! VOTO 7

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