RECENSIONE A CURA DI ALFREDO LAVORATO

Chi di voi ricorda la prima grande ondata power metal italiana a cavallo tra gli anni 90 e 2000 non potrà di certo non ricordare nomi come Labyrinth, Domine, Vision Divine e i grandiosi Rhapsody. La scena Italica del periodo sfornò formazioni e dischi di altissimo livello e qualità che nulla avevavo da invidiare alle realtà teutoniche che, del genere, erano i padroni assoluti. Tra i tanti gruppi nati in quel periodo ci sono da ricordare anche i Drakkar che oggi, ancora con fierezza, portano avanti il loro lavoro con dedizione assoluta e spirito combattivo…come un clan vichingo che non si arrende all’incedere impetuoso del tempo….e che Odino li protegga in questo loro viaggio. Oggi arriva il loro nuovo album “Chaos lord” che a breve vi racconterò con una recensione “track by track”. La band formata da Dario Beretta: chitarre, Davide Dell’Orto: Voce, Marco Rusconi: chitarre, Simone Pesenti Gritti: basso, Daniele Ferru: batteria rimane oggi uno degli ultimi avamposti epici italiani del genere, passata la moda del momento, e per questo meritano un ascolto che, a priori, consiglio cmq a tutti gli epic metallers che amano questo genere…compreso me.
The Dreaming City: Intro strumentale dal sapore celtico, di quelle ballate che si ascoltano intorno al fuoco con fuori neve che cade lenta, immagini di reami e dame danzanti con cavalieri pronti a sfidarsi per ottenerne le tanto bramate grazie.
Lord Of A Dying Race: Si parte alla grande con un pezzo tecnicamente perfetto, voce possente e ben inserita in un sound che sfocia in un ritornello di quelli che rimangono in testa e non vanno via facilmente.
Horns Up!: Power song di mestiere, ben suonata ma manca il refrain che rapisce, pezzo sui generis ma niente di più.
Chaos Lord: Fila serrate e pronti alla battaglia. Pezzo roccioso e melodico come canone dei nostri paladini, una voce che ricorda, vagamente, il miglior Mark Boals del periodo Malmsteen, ma con una timbrica più arrabbiata che riesce a drammatizzare ottimamente una song che vola alto fiera e coinvolgente.
Through The Horsehead Nebula: Cosa succederebbe se Udo Dirkschneider incontrasse i Gamma ray? Probabilmente ne uscirebbe un pezzo così….funzionano bene le chitarre gemelle ad armonizzare il tutto con gusto e perizia tecnica.
The Battle (Death From The Depths – Pt. II): Altro capolavoro per un riff che risuona tra piramidi e deserti egizi, la canzone è potente e suonata benissimo, grande lavoro alla batteria che picchia precisa e corposa, un refrain melodico che colpisce e rapisce l’ascoltatore per tutta la durata della canzone.
And He Will Rise Again: Poteva mancare l’inno da stadio? Assolutamente no….il riff dal sapore celtico apre le danze per poi sfociare in quello che, probabilmente ai concerti, sarà il coro cantato all’unisono a squarciagola, pezzo classicissimo che piace da subito.
Firebird: Altra power song da manuale dove il nostro buon Daniele Ferru si tasforma in metronomo umano per dar base ad una canzone che vola alto per struttura, melodia, riff e coro….praticamente perfetta. Vicina ai lavori di Kamelot ed Helloween ma con una sua personalità che la rende speciale.
The Pages Of My Life: Pezzo che abbassa un pò il gusto del disco, non è brutta ma non lascia il segno, niente da aggiungere o togliere a quanto fin ora fatto.
True To The End: Ed è nel finale che arriva la benedizione dei padri del genere, una canzone che sarà benedetta dai Manowar nei secoli a venire…dal Valhalla arriva la chiave per il passo verso la sala dove gli Dei banchettano e ospitano i figli diletti…e con questa canzone i drakkar chiudono con onore un gran bel disco e si accingono al viaggio verso il futuro.
Bello il lavoro sul disco, pezzi mai banali, suonati magnificamente, forse manca la ballata che spezza un po’ e da il tempo di respirare ma non importa, davanti ad un lavoro del genere non si può che restare pienamente soddisfatti. VOTO 7.0