Down the Stone

RECENSIONE A CURA DI ENZO”FALC”PRENOTTO

Siamo oramai nel 2022 ma diversi album risalgono all’anno passato ed giusto dargli le doverose attenzioni. Fresco di stampa è il nuovo lavoro dei nostrani Down the Stone, combo lombardo nato nel 2013, che pubblicano questo recente Rusty Leash. Nonostante la band non esista da molto ha ottenuto numerosi consensi di pubblico e critica oltre che la possibilità di esibirsi live in diverse occasioni speciali ed eventi in nord Italia. Questo EP prosegue sulla via dell’alternative metal già tracciata con i precedenti lavori e vede un cambio di lineup che vede Dave Swan come definitivo chitarrista (in sostituzione del temporaneo Gary D’eramo dei Node) ed alla voce il nuovo entrato Luca Colombo dei Neodea. Il dischetto prende ovviamente spunto dagli anni ‘90 e propone anche qualche innesto più melodico e rock oltre che qualche concessione alla modernità.Sebbene il lavoro non brilli per originalità ha comunque diversi aspetti qualitativi che lo rendono sicuramente appetibile agli appassionati di sonorità immediate e potenti con un occhio di riguardo all’aspetto melodico. I riffs granitici di chitarra della titletrack “Rusty Leash” mettono sul piatto un mix melodico/aggressivo di Disturbed e Foo Fighters dove ogni strumento è ben valorizzato; il lavoro di basso in particolare è distorto al punto giusto e ben udibile al contrario dei suoni di batteria che sono alquanto impietosi (fortunatamente migliorano nelle altre tracce). Il tono vocale è rabbioso e battagliero ma non disdegna aperture più melodiche come nella corale “Raise your eyes”  dal ritornello contagioso e dal sottofondo melodico della sei corde che però abusa di cliché fin troppo sentiti e risentiti specialmente nei giri metallici. Il manifesto sonoro di “War” è forse la traccia più riuscita e “personale” per il suo riuscire a far convivere violenti breakdown, influssi rock nelle grezze linee vocali ed un mood alla LORDI che si lascia ascoltare con notevole gusto. Le ultime due tracce sono le più canoniche. “DGTall” è alternative classico e duro con linee vocali decisamente cantabili mentre la finale “Rebirth” è più orientata a toni distruttivi senza mai dimenticarsi della melodia. Se da un lato le composizioni funzionano bene dall’altro è poco per riuscire ad arrivare da qualche parte data la spietata concorrenza però potrebbe essere un piccolo trampolino di lancio per il mercato americano, molto più devoto a certe sonorità. Un lavoro onesto, passionale e che può rivaleggiare con molti esponenti del genere ma la strada è ancora in salita ed è molto ripida. VOTO 7.0

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