RECENSIONE A CURA DI ENZO “FALC” PRENOTTO

I Disbeliever sono un gruppo nostrano nato nel primo decennio del 2000 e che vede l’affiancamento ai tre membri fondatori l’innesto di due ex componenti (cantante e chitarrista) degli interessanti Motus Tenebrae. L’unione delle forze porta quindi alla composizione di un primo album autoprodotto (2009) seguito pochi anni dopo da un secondo disco di cui ci si occuperà in questa sede ossia The Dark Days che risale al 2013. A livello di sound si vira decisamente verso il gothic rock/metal influenzato moltissimo dai Paradise Lost di fine anni 90’ quando ci fu “l’odiata” svolta melodico/elettronica mai digerita dai fan. Questo approccio deriva probabilmente dall’influenza degli stessi Motus Tenebrae dato che facevano quasi le stesse cose. Difatti bastano pochi secondi per rendersi conto delle similitudini con i gruppi citati ma bisogna fare delle distinzioni. I Disbeliever sfruttano la pesantezza gothic/doom metal dei Mortus e la filtrano attraverso i Paradise Lost più elettronici (forse scopiazzati anche troppo) cercando di creare qualcosa di originale. La realtà però non è esattamente come la ci si aspetta dato che ci sono diverse cose da tenere conto nel bene e nel male. In primis va sottolineata una certa fiacchezza generale (persino la voce, seppur intonata pecca di vitalità) come se ci fosse un senso di svogliatezza. La batteria manca terribilmente di energia limitandosi ad accompagnare in maniera apatica il resto della band che brilla poco per esecuzione (si ascolti “Endless Dreams”). I suoni fortunatamente sono limpidi e cristallini e permettono di godere di ogni sfumatura sia essa più moderna (“Frozen”) o visionaria (“Into Eternity”, peccato per quel growl troppo effettato) ma anche nelle bordate più metalliche come la dura “Next to Me” con il suo pathos deflagrante. Si sente una cura generale dei dettagli comunque molto marcata ed in molti anfratti dell’album vengono fuori delle cesellature melodiche davvero notevoli. A tal proposito va sottolineato l’apporto sia solista che melodico della chitarra che in molte occasioni incanta l’ascoltatore ma forse il ruolo più importante è dettato dalle tastiere che donano un’atmosfera riuscitissima (la meravigliosa “Hopelight Fading”) specie in episodi più sperimentali come la post-punk/new wave “Unreal”. Il brano forse più interessante, o diciamo più riuscito, è “Ordinary Way” che presenta finalmente una musica più massiccia grazie ad un riffing deciso e vario con una distorsione impetuosa ed un’epicità che raggiunge dei livelli ottimali. Il fatto che ci sia troppa discontinuità rende l’ascolto un po’ ostico per via dei già citati problemi di “resa acustica” che per un livello compositivo non sempre fluido e con delle idee ancora troppo derivative. Si sente comunque che la strada intrapresa è quella giusta e che forse il cambio di lineup più recente (nuovo chitarrista e anche cantante) potrebbe portare a nuove vie per esprimersi. Un disco di crescita e che si spera serva per migliorare soprattutto per trovare una propria personalità dato che al momento è ancora troppo latente. In un ambiente ostile come quello musicale bisogna sempre fare la differenza ed al momento le potenzialità non sono sufficienti. VOTO 6.5
(Dreamcell, 2020)
1. Endless Dreams
2. Unreal
3. Frozen
4. Next To Me
5. Hopelight Fading
6. Into Eternity
7. Ordinary way
8. Jaded And Withered
9. The Last One
10. A Dark Day (outro)