RECENSIONE A CURA DI CLAUDIO “KLAUS” CAUSIO

Attivi sin dal 2010, i Dagorlath raccolgono la loro carriera in un greatest hits di otto brani, dal titolo, per niente evocativo ma sicuramente efficace, “2010-2020 (Remasterización)”. La band spagnola propone un power metal in stile classico, potente, deciso, ricco di virtuosismi e orchestrazioni. L’attitudine, invece, non può che rievocare i loro celebri connazionali Mago De Oz, da cui sicuramente i nostri si sono lasciati ispirare, sposando ingredienti “oziani” con le altrettanto lampanti derivazioni tolkieniane, che risuonano nel nome della band (che deriva dalla Dagor Dagorlath, la Battaglia delle Battaglie che chiude la mitologia della Terra di Mezzo) oltre che in parte della loro discografia riassunta in questo album: è il caso di brani come Mithrandir (altro nome dello stregone Gandalf, per i meno esperti) o La Caída de Numenor.
È difficile trattare di un disco simile, soprattutto se non si conosceva il gruppo prima di ascoltarlo: “2010-2020” è un greatest hits, racchiude i migliori brani della band non necessariamente con un ordine preciso o una particolare intenzione o un filo logico, il che è la maggior pecca di questo lavoro: i brani sembrano troppo uguali a se stessi, anche se, sicuramente, all’interno del proprio album di riferimento hanno avuto il giusto senso e il loro posto nell’ordine generale. In sostanza, i Dagorlath hanno raccolto otto canzoni che però, messe in sequenza, se si esclude El Eco de Tu Adiós, risultano come un unico, lungo pezzo, scandito da una violenta doppia cassa, da una voce potente e acuta e da orchestrazioni pompose e ben lavorate. Un’analisi nel dettaglio è più che mai necessaria.
A dispetto della tradizione power, manca una intro strumentale che permetta all’ascoltatore di immergersi nell’universo e nel sound della band, anzi, si parte in quarta con Immortal, brano orecchiabile, come d’altronde tutto il disco, gradevole e potente. Assoluto protagonista è Dani Hérnandez, dalla voce smaccatamente power, alta e grintosa, cui fanno da contraltare le orchestrazioni, dando vita ad un pezzo emblematico e particolarmente glorioso, che restituisce le atmosfere degne del tema che tocca, altra ispirazione tolkieniana. Segue Hoy Debes Luchar, sulla stessa scia del brano di apertura, come anche il terzo pezzo, Despertar.
Terza traccia è la già citata La Caída de Numenor, composta da una prima metà in chiaro stile Dagorlath e da una seconda dominata da una parte strumentale particolarmente evocativa, le cui atmosfere ricordano i secondi Rhapsody of Fire: la sezione ritmica fa il suo, inneggia al più coinvolgente degli headbanging, mentre la tastiera di Laura Illán quasi narra il fantasy di cui i Dagorlath si sono fatti cantori. Sul finale della parte strumentale c’è spazio per un assaggio delle doti da bassista di Raúl Ramos che successivamente avranno anche più spazio, ottenendo la vetrina che meritano.
L’album si spezza a metà, come è giusto che sia, per mano dell’unica ballad presente, El Eco de Tu Adiós che, come si accennava precedentemente, permette di rifiatare dopo una pima metà a ritmi elevati e fugge il rischio di eccessiva confusione all’interno del lavoro, ovvero permette di percepire il disco in maniera più eterogenea. Il brano è struggente, sofferto e lento, la voce potente di Dani adesso sembra un grido di dolore cui fa eco un nostalgico assolo di chitarra. Particolarmente efficace una sezione corale che verso il finale del pezzo si destreggia in un botta e risposta con la voce principale, prima di un secondo assolo e di un’accelerata finale.
Si riparte con Mithrandir, sette minuti di power veloce e potente, ma nulla di nuovo rispetto a quanto sentito finora, come anche le due successive, Entre Sombras e Llanto de Fuego. Della prima si segnala, come si accennava precedentemente, la linea di basso, soprattutto nella intro, che espone le doti e l’abilità di Ramos che, insieme con la batteria di José Antonio Hernández, restituisce un pezzo particolarmente ritmato e coinvolgente nella sua sezione strumentale. La seconda, invece, si configura come la classica cavalcata finale, conclusa con una sezione corale in dissolvenza, risultando un’ottima scelta in chiusura del disco.
Insomma, tutto quello che si può dire di questo disco deve tenere conto che, ancora una volta, siamo di fronte ad una raccolta che tenta di convogliare i migliori lavori scritti da una band nel corso di una carriera decennale, per cui il rischio di essere un collage di brani troppo uguali fra loro è elevato e calcolato. L’album scorre piacevolmente, è in grado di evocare suggestive atmosfere e al contempo di smuovere gli animi. Non è il disco dell’anno, non è neanche il disco power dell’anno, ma sicuramente una piacevole pubblicazione per i fan di una band che esce da un ambiente troppo spesso sottovalutato, quale la scena metal spagnola. Insomma, un ottimo stendardo per i propri connazionali, i Dagorlath rispettano in pieno le caratteristiche tipiche del power, ma sanno farlo e pagano onoratamente e modestamente il debito alle grandi ispirazioni. In conclusione, per qualcosa di più originale è legittimo rimandare ad una possibile nuova pubblicazione, accogliendo questo disco come ciò che è, semplicemente una celebrazione di dieci anni di carriera. VOTO 7