Cult Of Scarecrow

RECENSIONE A CURA DI Enzo”Falc”Prenotto

Bizzarra la storia di questi Cult of Scarecrow. In origine la lineup, negli oramai lontani anni ‘90, agiva sotto il nome di Die Sinner Die (di cui facevano parte anche alcuni membri fondatori dei thrashers Dead Serious). Nel 1995 i musicisti decisero di prendere strade diverse finché parecchi anni più tardi, per la precisione nel 2017, ritornarono di nuovo assieme aggiungendo alla formazione il tastierista Eddy Scheire ed il cantante Filip De Wilde. Fu così che nacquero i Cult Of Scarecrow. Dopo un primo EP però, un anno dopo, lasciano il gruppo sia il batterista Jeannot Schram (rimpiazzato da Nico Regelbrugge) che il tastierista Eddy (sostituito da Robbie Eelbode) ma ciò non fa demordere il gruppo che si rimbocca le maniche e da vita al primo album ‘Tales of the Sacrosanct Man’ seguito poi dalla firma con l’etichetta WormHole Death Records che si occuperà della distribuzione mondiale del disco. A differenza dei Die Sinner Die la musica stavolta vira verso nuovi territori più incentrati su tempi marziali dall’impronta doom metal ma senza risparmiarsi in qualcosa di più “alternativo”. Le otto tracce che compongono l’album sono mediamente lunghe e prediligono un approccio lento e pachidermico mai però fine a sé stesso. L’opener “Sacrosanct Men” spiazza parecchio data la moltitudine di elementi presenti nelle venature della traccia. Il guitarwork massiccio si apre spesso a contaminazioni epic metal sia nei riffs che nelle melodie e sorprendentemente la voce pare arrivare direttamente dalla scena grunge, in particolare nelle varianti più dure grazie ad esponenti come gli Alice In Chains. Il mix, per quanto azzardato, funziona e crea degli interessanti e corali mosaici rock/metal come la rugginosa “Robotized” o l’acida “Pitch-black” per poi passare a delle concessioni simil thrash metal in “Lazarus” dove le chitarre si fanno affilatissime e vengono supportate molto bene dalle tastiere gotiche (peccato per dei suoni troppo plastificati). E’ un continuo cambio di registro e ciò tiene sempre attivo l’interesse dell’ascoltatore che si ritrova sempre stimolato. Non si parla di inutili giochi di tecnica o dimostrazioni di bravura. In album come questi vincono le idee ed il modo di esprimerle. Sebbene l’originalità non sia ancora messa a fuoco ci sono dei pezzi notevoli come la lentezza epica degli sfibranti riffs di “Doorkicker03”, i cori liturgici di “This Blood’s for You” immersi in un mood a due facce, una a base di arpeggi oscuri ed un’altra composta da muri di distorsione pieni e decisi per arrivare alla magnifica e battagliera “Own Worst Enemy” immersa in un lavoro di chitarra sempre variegato, assolo sempre celestiali ed un cantato bellissimo che riesce ad integrare melodie rock in uno substrato decisamente metallico. Tecnica e cuore agiscono sempre all’unisono facendo emergere sempre l’aspetto emozionale della musica e tutti i musicisti coinvolti agiscono assieme come un ingranaggio perfetto e poco conta se le canzoni non fanno propriamente gridare al miracolo.Il gruppo belga ha dato prova di avere un gran potenziale e si spera che in futuro possa dimostrarlo al meglio. Sia che si ami il rock o il metal questa è una band da tenere d’occhio!!! Voto 7.0

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