RECENSIONE A CURA DI ENZO “FALC” PRENOTTO

Forse il sottoscritto lo ha già scritto ma, in ogni caso, è bene ribadire il concetto di quanto il prog metal (ma anche lo stesso prog rock) sia un genere alquanto strano soprattutto a livello di appassionati. Di base è un genere molto tecnico, spesso con una maestria fin troppo sopra le righe con contorsionismi strumentali a volte sopra le righe. Andare contro queste “regole” può portare a cocenti bastonate se si esclude la corrente prog/power o quella più melodica. I Coldun, che nascono in realtà come solo project del cantante e multistrumentista, nascono nel 2006 e con questo Grand Sun Ritual raggiungono la tappa del terzo disco ed ancora una volta vanno totalmente controcorrente rimanendo prog metal ma senza esserlo davvero ed orgogliosamente infischiandosene di qualsiasi regola.
Si nota fin dai primissimi minuti di quanto i Coldun abbiano stoffa da vendere. I tecnicismi vengono totalmente lasciati da parte ma, sia chiaro che, i brani sono tutt’altro che di facile esecuzione e comprensione immediata. Il quartetto punta sul lato emozionale, sul fattore sorpresa ed in generale sulla complessità senza che l’ascoltatore si possa mai annoiare. Ci sono continui stimoli dato che ogni traccia ha una sua faccia e ad ogni attimo può comparire qualcosa di particolare. Il duo chitarristico se la spassa letteralmente passando da riffs nervosi (“Salvation Day” con i suoi mille cambi di umore) a tonalità simil folk come nella corale ballad dai toni folk/nordici “Stories Untold” o la sognante “I Dreamed That Dream” con le sue detonazioni gonfie di pathos. In mezzo ci sono moltissime sfumature di difficile catalogazione. Si pensi all’opener e titletrack “Grand Sun Ritual” con quell’intro arabeggiante che esplode poi in un epicità doom/gothic dove la sezione ritmica fa davvero faville inserendoci poi addirittura un sax che rende ancora più inquietante il paesaggio sonoro. Un senso di inquietudine che prosegue con la cupa “Hail Out to Thebes” per poi virare verso la cavalcata hard rock irrefrenabile di “The Forest and The Soul” a suon di hammond e assolo dal sapore blues facendo venire fuori un mood anni 70’ non indifferente. Da non sottovalutare poi le magistrali vocals del cantante Coldun dotato di un ugola cristallina ed evocativa come pochi che riesce anche a rendere aggressiva con degli screaming ben fatti nella meravigliosa “Down Below” dove ancora una volta viene fuori la capacità tecnica delle chitarre che si dilettano in magici assolo (fra blues e celestiali melodie) con uno stile molto classico per poi virare verso martellate post-black metal seguite da basso e batteria incattivite senza perdere un minimo di credibilità. Un modo di fare musica che sta scomparendo per il suo essere in grado di sprigionare calore senza dover per forza mostrare i muscoli. Un vero scandalo che bands di questo calibro debbano essere ancora disperse nell’underground in confronto a dinosauri che imperversano ad oltranza le classifiche.
Un gioiellino che risplende di luce propria e che si invita a recuperare prima possibile data la purtroppo limitata disponibilità del CD. Fuoriclasse! VOTO 8.5