RECENSIONE A CURA DI CLAUDIO “KLAUS” CAUSIO

È sempre piacevole avere la possibilità di recensire un disco di un artista in cui ci si è già imbattuti, specialmente se ciò avviene più d’una volta, perché permette a chi scrive di notare la crescita e l’evoluzione che quello stesso artista ha avuto, forse anche grazie alle parole e all’inchiostro speso in precedenza in suo favore. In un certo senso, il recensore di turno sente di aver stretto un rapporto speciale con la band o il musicista di cui scrive, soprattutto se egli per primo ha gradito quanto ha ascoltato e promuove con piacere il prodotto che ha fra le mani. Per chi vi scrive ora, cari lettori, è infatti questo il caso: non è la prima volta, né la seconda, che mi imbatto in Arcane Tales, progetto solistico di Luigi Soranno, nella cui musica e nei cui testi, per chi non lo sapesse, l’autore (non utilizziamo questo termine a caso) riversa storie fantastiche e immaginifiche che egli stesso ha scritto, nel tentativo di offrire la più appropriata colonna sonora a racconti che altrimenti vivrebbero solo di inchiostro e carta. Perciò, lo stile offerto nella discografia di Arcane Tales non può che respirare di un’aria di turilliana memoria, proponendosi come un power metal sinfonico ricco di orchestrazioni pompose, cori e atmosfere immersive al massimo grado; il tutto poi confluisce nel più recente lavoro offerto da Soranno, pubblicato quest’anno e intitolato Steel, Fire and Magic, dieci brani che riportano l’orecchio del pubblico indietro almeno di vent’anni, ad una parentesi temporale in cui il metal nostrano sbocciava florido e tanti gruppi si affacciavano sognanti sulla scena. Entrando però nel merito del disco, premetto sin da subito che ho apprezzato Power of the Sky, solo leggermente meno Tales from Sharanworld, avendo in quell’occasione segnalato una produzione che, seppur buona, tradiva in parte le aspettative che il disco precedente aveva contribuito a far sorgere. Nell’ultimo lavoro, infatti, a mio avviso Soranno aveva curato meno l’impatto che l’insieme musicale avrebbe avuto sull’orecchio dell’ascoltatore, con il risultato di un disco che appariva ben scritto e suonato, aspetti che però venivano coperti da questa stessa produzione che non aiutava i vari strumenti ad emergere ma li confondeva in maniera qua e là poco nitida. Ebbene, quando in redazione è arrivato Steel, Fire and Magic, la mia prima curiosità è stata quella di notare se ci fosse stata un’evoluzione, o meglio, una cura che avrebbe riportato la musica di Arcane Tales sui binari tracciati già da Power of the Sky, e già dopo l’ascolto della prima vera traccia, Essence of Divine (lanciata da una intro, Ethereal Skies) posso ritenermi più che soddisfatto. Il sound è buono, gradevole, favorisce l’emergere dell’orecchiabilità di cui opere di questo stile vivono: strumenti e voci non si sovrappongono ma si aiutano, si supportano al fine di offrire un’esperienza musicale in grado di immergere il pubblico nelle atmosfere che l’artista disegna e dipinge. A favorire lo scorrere dell’album è, poi, sicuramente la componente prog cui Soranno strizza l’occhio durante l’intero album, ben più presente che nei dischi precedenti, costruendo qua e là intermezzi che spezzano il corso consuetudinario della classica musicalità del suo genere ed evitando quindi di ricadere nella banalità del power metal più scontato. A dare ritmo, poi, è anche l’elemento atmosferico, espresso da situazioni ben più rhapsodiane dei momenti prog di cui sopra. Emerge infatti subito l’intermezzo di The Ambush, che con i suoi strumenti più che folkloristici restituisce merito ad un brano che, quanto a orecchiabilità (soprattutto nel ritornello), non spicca all’interno del disco. Questa stessa orecchiabilità resta tuttavia sempre presente, favorita dai ritornelli coinvolgenti costruiti su cori accattivanti e riff pomposi, impiantati spesso su cavalcate inarrestabili: un esempio chiaro è rappresentato da The Fires of Hàrgathàn, dominata da orchestrazioni imponenti e da una voce catchy al punto giusto, che lascia comunque spazio qua e là a momenti più crudi, personificati da una voce distorta. Abbiamo scelto questo brano come esempio non a caso, poiché esso costituisce la colonna sonora di un lyric video da poco uscito, aggiuntosi a Forest of Ice, che già qualche mese fa aveva visto la propria pubblicazione. Anche quest’ultimo pezzo risulta particolarmente coinvolgente e, caratteristica non trascurabile, ben identificabile: introdotto da un synth, si sviluppa su una ritmica molto veloce e frenetica e, nonostante rispetti in pieno i dettami del symphonic power metal, riesce a presentarsi bene come brano accattivante, componendosi di sezioni fra loro diverse che gli permettono di non risultare ripetitivo.
Altro fattore decisivo per la scorrevolezza del disco è sicuramente la ballad Realm of the Nordic Stars che, proprio in quanto ballad, rallenta i tempi proponendo una musicalità struggente e rilassante, proiettando l’ascoltatore verso lidi più estatici. L’occasione è propizia anche per una sezione solistica ben strutturata (come del resto tutte le sue controparti dell’intero disco) in cui chitarra e tastiera alternandosi offrono un piacevole minuto e mezzo di strumentale. Resta ancora molto da dire di Steel, Fire and Magic, ma non ci addentreremo ulteriormente, lasciando al lettore il piacere di scoprire il nuovo disco di Luigi Soranno e di avventurarsi fin dentro i suoi meandri più profondi. Quel che possiamo, e dobbiamo, fare è consigliare assolutamente l’album a chiunque sia appassionato del genere o nutra una certa predilezione per il fantasy. Steel, Fire and Magic, a nostro avviso, supera il suo predecessore e proietta Arcane Tales fino al limite ultimo che è possibile toccare con un simile progetto. Ricordiamo infatti che lo scopo iniziale di Soranno era quello di mettere in musica i suoi stessi racconti e le saghe che questi compongono (Sapphire Stone Saga, ad esempio). Ebbene, ho avuto il piacere di seguire l’evolvere di Arcane Tales per i suoi ultimi tre dischi e ritengo di potermi permettere di offrire un consiglio al nostro, se già non ha pensato di condurre la sua creatura in questa direzione: dovrebbe infatti circondarsi di ottimi musicisti e trasformare un progetto solistico, volto solo all’offrire una colonna sonora a personalissime storie, in un qualcosa di più grande, una band vera e propria (sia essa una ‘one man band’ o una formazione completa). I suoi brani meritano di essere portati live e di essere esposti nel più classico e amato ‘banchetto del merch’ perché, per come Soranno ha ideato il suo progetto, Arcane Tales rischia di non avere più nulla da aggiungere a ciò che ha già proposto, se non replicarsi. La mia non è una critica, ma il consiglio di qualcuno che, se il musicista decidesse di seguire questa strada, sarebbe sicuramente in prima fila ad ascoltarlo appassionatamente. Per il lettore: il voto che proponiamo, lo ribadisco ad ogni uscita di questa atipica band, risente del presupposto che ha guidato l’autore nella fase di scrittura e del fatto che egli si è occupato, magistralmente, di ogni singolo aspetto che ruota attorno alla confezione di un album. Questa volta, altro elemento chiave per il nostro giudizio è stato il confronto con le ultime pubblicazioni e l’evoluzione che ne è emersa. VOTO 8.0

Mi sono imbattuto per la prima volta in Arcane Tales, one man band di Luigi Soranno, circa un anno fa, in particolare nel suo quarto full-lengh, “Power of the Sky”. Le mie impressioni furono, tutto sommato, favorevoli, avevo apprezzato in particolare l’idea per niente pretenziosa che aveva mosso il musicista veronese a formare questo progetto, ovvero quella di sfruttare il symphonic power metal per mettere in musica i suoi stessi romanzi. Insomma, a mio avviso, Soranno non aveva dato vita agli Arcane Tales per “sfondare” nel metal, ma semplicemente per “divertirsi” a dare un contorno, una colonna sonora alle sue storie. Perciò, nonostante tutti i suoi difetti di originalità, i suoi debiti così evidenti nei confronti di altri gruppi più celebri come Rhapsody o Twilight Force, la mia impressione era stata, come ho già detto, per lo più favorevole.
Quando mi sono approcciato al nuovo lavoro, “Tales from Shàranworld”, non ho potuto che richiamare alla mente tutte queste riflessioni, quindi mi sono aspettato un album che pagasse il debito a Luca Turilli, Staropoli e tutti coloro che hanno fatto la fortuna del symphonic power, e non sono stato deluso: orchestrazioni potenti, ritornelli pomposi, doppia cassa incalzante e assoli in chiaro stile “neoclassico” (come il già citato chitarrista triestino ama definire la propria tecnica degli anni nei Rhapsody of Fire). Come il precedente, l’ultima fatica discografica di Arcane Tales è un’apoteosi fantasy di luoghi comuni, dai testi ai titoli, fino all’aspetto musicale, le melodie, le tecniche sfruttate o gli strumenti impiegati. Come per Power of the Sky, non posso che lodare il lavoro di Soranno in fatto di composizione ed esecuzioni, essendosi egli dedicato a tutto ciò che è possibile ascoltare, riuscendo a produrre un nuovo disco in circa un anno, laddove altri gruppi impiegano un tempo anche maggiore. L’altro lato della medaglia è rappresentato però dalle carenze, evidenti, che Tales from Shàranworld soffre. Si è già parlato della scarsa originalità dietro al lavoro, giustificandola tramite l’obiettivo che, a nostro avviso, Soranno si è prefissato sin dall’inizio della sua avventura musicale, ovvero non quello di lasciare un segno nel metal ma quello di tramandare i suoi stessi romanzi, consegnando loro un’adeguata colonna sonora; non è però finita qui: il disco infatti presenta una produzione non degna del lavoro compositivo che c’è alle sue spalle, per cui spesso le orchestrazioni o le melodie che dovrebbero esaltarsi ed esaltare il brano risultano coperte o troppo cariche, al punto che riesce difficile, a chi ascolta, distinguerle dal tappeto strumentale di accompagnamento. La voce non emerge mai, il che, insieme con il resto degli aspetti poc’anzi elencati, non favorisce certo l’orecchiabilità. Il risultato è un album composto da tredici brani, di cui però nessuno si innalza sopra gli altri, risultando tutti troppi uguali a se stessi, se non per qualche momento qua e là. È il caso del ritornello di The Banquet o del riff portante di Ghostly Whispers, i quali però necessitano di diversi ascolti per rimanere impressi nelle orecchie del pubblico.
Insomma, l’album sembra costruito come un insieme di inni, il che significa che nessun brano è veramente un inno, essendo tutti caratterizzati dai medesimi elementi: cavalcate potenti e pompose, cori lirici, orchestrazioni preponderanti, il tutto accompagnato da una sezione ritmica scandita quasi sempre da una doppia cassa incalzante, che spesso si impone fin troppo. Come si è già detto, qua e là la composizione riesce a restituire dei momenti che emergono dal resto del lavoro, ma troppo esigui per poter indicare un brano significativo ed emblematico: a nostro avviso, ciascun pezzo può essere assunto a questo ruolo! Si potrebbe pescare una qualsiasi delle tredici tracce per comprendere la struttura generale del disco. Restando tra le linee guida più seguite nell’ambito del symphonic power, mancano, ad esempio, una ballad (unico pezzo che ci si avvicina è il nono, Rainbows’ Valley, composto però da un minuto e mezzo di arpeggi di chitarra con un accompagnamento orchestrale, manca la voce, ancor più una melodia cullante e al contempo in grado di trascinare l’ascoltatore su altri lidi. Insomma, è più un momento di passaggio che un brano vero e proprio. Soranno ha di recente proposto una sua cover di Wings of Destiny dei Rhapsody, emblematico esempio di quel che intendiamo) o il classico pezzo che sfora i dieci minuti, spesso posto in conclusione.
Se dovessi scegliere un brano che possa rappresentare al meglio l’intero disco e che sia, al contempo, anche il migliore, sicuramente opterei per l’undicesima traccia, Screams the Eternal Fortress, in quanto la sua composizione risulta particolarmente riuscita, meglio rispetto al resto del disco, e orecchiabile, anche se, comunque, il confine fra essa e le altre è davvero sottile.
In conclusione, sono molti i pregi di Tales from Shàranworld, ma anche i difetti. Procedendo con ordine, tra i primi è possibile annoverare senza margine di errore l’indubbia abilità compositiva di Soranno, in grado di dedicarsi all’intera scrittura ed esecuzione del disco. Altro aspetto sicuramente positivo è la capacità di immersione nelle ambientazioni che l’autore vuole evocare: sin da subito ci si sente infatti trascinati in quel mondo fantasy che la mente di Soranno ha partorito, fatto di guerrieri, draghi, orchi e magia. D’altro canto, però, musicalmente il disco si attesta sulla sufficienza: manca di originalità ed è carente dal punto di vista della produzione. Si badi, non che sia lavorato male, ma semplicemente un’opera di questo stampo richiede una maggior attenzione qua e là. Tales from Shàranworld suona come i primi lavori dei Rhapsody degli anni ’90, il cui suono è sicuramente meno nitido e limpido di quanto potrebbe esserlo oggi con le tecnologie più avanzate (lo stesso Staropoli, per Legendary Years, ha sottolineato la necessità di registrare nuovamente alcune hit del passato per dare nuovo lustro a brani epocali grazie al progresso nell’ambito della produzione). Come si è detto, maggior attenzione alla produzione avrebbe forse significato anche meno anonimato per i brani, tra i quali è difficile scorgerne qualcuno (ne abbiamo comunque scelto uno, Screams the Eternal Fortress) che possa emergere ed ergersi ad emblema per l’intero lavoro che, alla fin fine, risulta ripetitivo, seppure mai (bisogna sottolinearlo!) sgradevole: insomma, l’album scorre piacevolmente, ma senza infamia e senza lode. VOTO 6.5