Amon Sethis

RECENSIONE A CURA DI ENZO”FALC”PRENOTTO

Il prog francese ha sempre dato una forte dimostrazione di avere una propria identità. Nelle derive più metalliche ci sono diversi esponenti che hanno sicuramente attirato le attenzioni degli appassionati (Gojira, Hacride, Alcest o anche i più devastanti Dirge) e fra questi c’è una piccola band che potrebbe incuriosire chi apprezza le sfumature più esotiche del genere. Gli Amon Sethis nascono nel 2007 e fin da subito decidono di costruire una serie di dischi legati ad un preciso concept incentrato sulla misteriosa (dato che non ci sono moltissime testimonianze documentate) della regina egiziana Nitocris, la prima donna ufficialmente considerata faraone regnante, dal momento che il suo nome figura in una delle liste reali composte dagli egizi e oggi nota come Canone di Torino. Pare che, allo stato attuale della documentazione, è lei la prima donna formalmente insignita del titolo di «re dell’Alto e del Basso Egitto». Nitocris salì al trono verso il 2184 a.C. e, secondo gli archivi dell’età rarnesside, regnò due anni, un mese e un giorno, anche se alcuni ricercatori propendono per un periodo più lungo, dai sei ai dodici anni. Numerose sono le leggende su questo personaggio storico tanto che la band compose ben tre opere (di cui uno in verisone EP) a riguardo. Questo Part 0 – The Queen With Golden Hair è il prequel e narra di quello che è successo prima degli eventi narrati nei dischi precedenti confermando nuovamente le idee musicali della band ovvero un prog metal dall’anima molto cinematografica e dalle sfumature orientali sulla scia di colleghi come i Myrath o anche Vanden Plas. Dopo un’epica intro a nome “The Legacy From The Past” si entra nel vivo con la mastodontica “Nitocris The Queen With Golden Hair” che mette in mostra molti degli elementi che andranno a comporre questo lungo album. Saltano subito all’orecchio le melodie egiziane, i cori maestosi e le tastiere atmosferiche in netto primo piano come se ci si trovasse nella colonna sonora di un peplum (quella particolare cerchia di film epici come Ben Hur o I Dieci Comandamenti). Qui viene dato molto spazio al lavoro melodico piuttosto che concentrarsi sulla componente più tecnica, che comunque non manca come nella complessa “Lost In The West”. Quasi tutti i brani sono molto lunghi, pieni di sfumature ed intrecciati in maniera tale da raccontare la storia di Nitocris passando per le melodie accese di “My Sister, My Love, My Pharaoh”, attraversando le cavalcate metalliche della sinfonica “The Conspiracy” e l’aggressività di “Desert Storm” (il cantato stavolta protende verso il growl piuttosto che nel pathos eroico) oltre che la violenza di “Mask Of Wrath”. I brani si susseguono creando una discreta atmosfera però nascono diverse perplessità dato che il minutaggio è probabilmente troppo eccessivo e parecchi brani usano gli stessi stilemi e le medesime idee risultando molto simili fra di loro perdendo identità con il passare dei minuti. Diventa arduo distinguere i singoli brani ed è un peccato. La voglia di fare è tanta ma forse si è voluto mettere troppa carne al fuoco quando bastava snellire le canzoni. In ogni caso verso la fine c’è un deciso colpo di coda con i due episodi migliori ovvero la lunga, cupa ed elaborata “From Dust To The Stars” con il suo notevole crescendo e la finale “And Then Comes The Rain – On The Wayback To Memphis”, ballata intensa ed evocativa che non fa mai smettere di sognare ad occhi aperti. Il disco ha dalla sua una certa potenza che potrebbe invogliare a recuperare tutti gli album per comprendere meglio la saga mentre dall’altra rischia pericolosamente di auto compiacersi. La band tecnicamente è preparatissima ed ha molte buone idee compositive ma tende troppo a perdersi e l’ascoltatore finisce per smarrire la bussola. Da tenere comunque d’occhio. Una piccola realtà che merita comunque considerazione. VOTO 7.0

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