6:33

RECENSIONE A CURA DI ENZO “FALC” PRENOTTO

La Francia è sempre stato un paese decisamente particolare in campo artistico sia che si prenda in esame il cinema ma anche la musica. Emerge sempre un gusto fantasioso e folle allo stesso tempo dove la raffinatezza incontra la perversione, si pensi ad esempio ad opere cinematografiche come Delicatessen o La città perduta (entrambi di Jean-Pierre Jeunet) ma anche il deviato Lacrime di Sangue (Hélène Cattet e Bruno Forzani) per non parlare della violenza politica di La Horde o della psicosi sociale di À l’intérieur (Alexandre Bustillo e Julien Maury). Dal lato musicale ci sono molti frammenti schizzati come il collettivo Le Grand Sbam, CHROMB!, gli storici Magma, Zao ed anche gli Ange. Seppure ci sia molto occhio per le sperimentazioni elettroniche, da qualche parte circa un decennio fa si formarono gli 6:33, un bizzarro combo formato da musicisti che volevano unire un certo gusto teatrale e cinematografico alla musica senza preoccuparsi di seguire un determinato genere. Questo quarto album, chiamato Feary Tales For Strange Lullabies: The Dome è una sorta di compendio dei precedenti album esasperando tutto ai massimi livelli in forma di finto concept specialmente a livello di artwork (occhio al logo). Per chi chiedesse che musica ci si ritroverà ad ascoltare potrebbe rimanere spaesato dalla risposta dato che non c’è. Per fare chiarezza si ascoltino i primi secondi dell’opener “Wacky Worms”, una cascata di suoni futuristici, elettronica, dance sfrenata e pop/rock con un pizzico di componente metal. Si immagini un mix di Devin Townsend sotto acidi e gli Amaranthe più recenti e tamarri per farsi un’idea. Le varianti più estreme sono molto basilari ed in ombra come pure certe vocals in growl e sebbene compaia qualche chitarrona alla Rammstein (“Holy Golden Boner”) di metal o anche di rock duro c’è pochissimo. Ciò che davvero conta in primis è il divertimento, la spensieratezza ed ovviamente la pazzia. Il cantato è sempre variegato, a volte simil teatrale, ma punta sempre alla melodia immediata, alla strofa cantabile ed i cori fantasiosi sono la tipica ciliegina sulla torta. Pare di ascoltare la colonna sonora di un film di Tim Burton sonorizzato dal vivo da Elio e le Storie Tese dove ci sono continue esplosioni scintillanti di suoni e colori (“Prime Focus”), irrefrenabili voglie di balli in discoteca (“Party Inc.), divertenti parodie (il simpaticissimo disco/dance di “Hot Damn Chicas” con quel mood alla Michael Jackson) o intermezzi sognanti modello Vangelis (“Rabbit In The Heat”), funky (“Flesh Cemetary”). E’ un continuo cambio di impostazione; non ci sono schemi o paletti ma solo voglia di fare musica a proprio piacimento e questo potrebbe essere un problema ed allo stesso tempo un pregio. C’è da dire che i suoni sono molto “finti”, dato il massiccio uso di computer e strumenti campionati, facendo crescere un forte dubbio sul senso di tale scelta soprattutto in sede live dove ci sono forti dubbi sulla veridicità di quello che si andrà a sentire eppure le canzoni funzionano benissimo nella loro eccentricità. Per apprezzarle in pieno bisogna dimenticarsi di ascoltare un disco e lasciare perdere per un attimo le proprie idee e gusti. E’ un album molto radiofonico, semplice ed immediato che ha al suo interno molto lavoro riuscendo a strizzare l’occhio anche ad una band come i Pure Reason Revolution nella techno dell’irresistibile “Release The He-She” dispersa fra complessità prog e balli scatenati. I 6:33 sono tornati per alleggerire la nostra esistenza ed invitarci a non prenderci troppo sul serio, poco importa se c’è poca tecnica o idee troppo superate che magari potrebbero dare fastidio. Disco spiazzante, scorretto, furbo e tamarro eppure piace!!! Da non sottovalutare la sua efficacia. VOTO 7.0

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